Controcultura

Jacovitti e l'arte eretica di restare un bambino

Lo sguardo ilare e provocatorio del grande disegnatore rimanda a Disney e Lewis Carroll

Jacovitti e l'arte eretica di restare un bambino

Nel centenario della nascita di Benito Jacovitti (Termoli, 19 marzo 1923 - Roma, 3 dicembre 1997), la prima iniziativa avviene nel comune di Sutri, nell'ultima mostra della mia sindacatura, dal titolo allusivo «Triste, solitario y final». Mi auguro che i miei concittadini si possano compiacere di questo primato nel ricordare uno degli artisti più liberi, fantasiosi e originali del nostro Novecento parallelo, che trova negli illustratori, talvolta considerati con sufficienza, dei veri maestri, liberi dall'obbligo di testimoniare le inquietudini della storia.

Il mondo di Jacovitti è il mondo del sogno, dei bambini, dell'infanzia che ci accompagna per tutta la vita. Alla fine potremmo rinunciare a Morandi ma non a Jacovitti. L'illustrazione sta alla grande pittura come la pittura vascolare ai dipinti dell'antichità. Il Corriere dei Piccoli, Il Vittorioso, Cocco Bill, Jak Mandolino resteranno a testimoniare una storia parallela senza rapporti con la realtà sempre più tragica. Il mondo di Jacovitti è il regno dell'infanzia che risponde a una realtà in cui anche le guerre sono un gioco e le armi restano giocattoli. Ne era consapevole lo stesso Jacovitti. La sua avventura umana e artistica è raccontata nel libro Cento anni con Jacovitti di Stefano Milioni e Edgardo Colabelli con l'introduzione di Vincenzo Mollica. La consapevolezza che, per ragioni politiche, Jacovitti è stato sottovalutato è anche in un intervento di Goffredo Fofi per il prossimo numero di linus dedicato al grande artista, al quale la formula «artista» sta stretta, come lui stesso chiarisce: «stare nella realtà è possibile solo se riesco a riderne».

Un giornalista di Libération chiese a Benito Jacovitti nel 1997: «Ma lei ha avuto un'infanzia felice?». «Sì che l'ho avuta - rispose Jacovitti - ma, ahimè, l'ho perduta». Credo che il senso più autentico della vulcanica, strabordante, grande attività di Jacovitti sia contenuto, almeno in parte, in quella risposta. Nei suoi disegni, nei suoi personaggi-antipersonaggi, nelle sue storie senza storia, Jacovitti ha cercato costantemente di non crescere, di non essere mai adulto, alla ricerca sempre di un'infanzia perduta.

Nessun intellettualismo, nemmeno quello «strapaesano» di Maccari, al quale Jacovitti potrebbe sembrare vicino, perché ogni intellettualismo è l'esatto contrario dell'infanzia. Quella che Jacovitti ha cercato è una dimensione privilegiata dello spirito, straordinario antidoto alla deludente imperfezione della vita: l'«ingenuità» reale, la «pre-razionalità». Un'«ingenuità» che non è solo individuale ma anche collettiva, rievocando il gusto di civiltà premoderne e irrazionali, chiudendo il proprio universo in uno studio, con un pennino e un foglio di carta, per arrivare in un nuovo universo, un wonderland alla Lewis Carroll, nel quale diventa possibile tutto quello che passa per la mente. Ed ecco allora uomini trasformati in pupazzi grotteschi che fanno e dicono cose insensate, generate dai meandri più imprevedibili del nostro inconscio, come nelle filastrocche dei nostri nonni, in luoghi nei quali vengono sparsi a volontà pettini, pistole, salami e piedi nudi.

Tutto ridicolo, in apparenza; ma siamo sicuri che quei pupazzi siano davvero più ridicoli degli uomini reali? Siamo sicuri che quei luoghi siano davvero più assurdi di certe nostre periferie urbane? Siamo sicuri, cioè, che la realtà sia più seria del wonderland tutto speciale, rustico, per niente vittoriano di Jacovitti? Negli anni Settanta, Jacovitti si divertiva a schernire l'ignoranza dei giovani rivoluzionari di sinistra: «Raglia, raglia la giovane Itaglia» diceva, infatti, un suo celebre slogan, costatogli la fine della collaborazione con la rivista linus. C'è stato persino un partito, in tempi recenti, che ha scelto come simbolo l'animale che raglia, l'asino. Un'«Itaglia», quella dei politici «raglianti», che ha fatto seguito a un'altra, verso la quale Jacovitti, nonostante le sue manifeste simpatie per i conservatori, non era stato certo troppo più tenero. Fanno più ridere, allora, Jacovitti o queste «Itaglie»? E sono risate che si fanno a cuor leggero o che lasciano l'amaro in bocca? A cosa serve essere «seri», se la serietà è una cosa ridicola? A cosa serve essere adulti, si chiede in sostanza Jacovitti, se si deve rinunciare a quell'«ingenuità» così appagante, così meravigliosamente consolatoria?

Egli, enormemente più saggio e preveggente di noi, si era dato una risposta: è lì, nel mondo della fantasia «ingenua», nel wonderland sterminato di un foglio di carta, l'unica felicità possibile.

Dopo Disney nessuno più grande di lui.

Commenti