Politica

L'America che ci piace

Ero negli Stati Uniti con parenti e amici americani quando si è svolto il primo confronto indiretto, nel corso dello stesso show, fra i due aspiranti presidenti, Obama e McCain. Ciò che mi tolse il fiato, stupefatto dalla chiarezza della politica americana fu l’onestà dei due, e la secchezza sorridente di John McCain. Obama è un uomo intelligente, ma non affascinante quanto John F. Kennedy che come «primo cattolico alla Casa Bianca» fece altrettanto scalpore quanto il primo afro-americano, ma con un vivido sogno per l’America che ha in mente: ciò che da noi Veltroni e i suoi neanche si sognano. Nessuno dei due evase le domande dirette, ma fra i due chi emerse per la sua franchezza, trasparenza e determinazione fu McCain. L’intervistatore chiedeva: «Crede nell’esistenza del male? E se ci crede, che cosa intende fare?». McCain disse con occhi chiari e faccia aperta: «Il male esiste e il nostro compito è sconfiggerlo».

Una dichiarazione di guerra e di fede. Obama si era arrampicato sugli specchi per evitare il punto cruciale spiegato dal candidato repubblicano: l’America, di fronte al male, deve usare tutti i mezzi della ragione, senza però perdere di vista il suo obbligo alla fermezza nei principi: l’Europa può arrendersi a Monaco davanti a Hitler; l’Europa può accomodarsi davanti all’espansionismo sovietico; l’Europa può far finta di nulla di fronte alla sfida del fondamentalismo islamico, l’Europa può fare boccucce di fronte al nuovo espansionismo russo. L’Europa, ma non gli Stati Uniti d'America che hanno partecipato alla distruzione di tutti gli imperi: da quello spagnolo a quelli britannico e francese appoggiando la decolonizzazione, da quello giapponese a quello russo, a quello tedesco e italiano. Io guardavo McCain estasiato, pensando all’Italia delle “convergenze parallele”, dei “non solo ma anche”, dell’andreottismo multicentrico, del patto fra Aldo Moro e i terroristi dell’Olp e libici, dell’Italia così determinata a non contrastare le azioni russe per rivendicare l’impero ex sovietico. McCain considera la guerra in Irak con realismo, ammettendo che gli Stati Uniti quella amara guerra che è costata tanto in vite umane, la stanno vincendo: in Irak l’embrione della democrazia ha attecchito, come attecchì nel Giappone dopo Hiroshima e Nagasaki sotto il pugno di ferro del generale Douglas MacArthur che scrisse la Costituzione giapponese, costruì il Parlamento di Tokyo e usò la forca contro i criminali di guerra.

McCain alla domanda se fosse “pro life”, cioè antiabortista o no, ha risposto senza esitazione e senza retorica, «pro life».

E ha marcato con un colpo di spada la sua scelta politica prendendo nel ticket Sarah Palin, il “ciclone Sarah” che nessuno conosceva e che esibisce come un vitale segno di forza la bambina down che ha voluto mettere al mondo e che parla di sé con il gusto della provocazione frontale, del gusto americano di onorare la lezione cristiana che dice «sia la tua parola sì sì, no no». Vorrei vedere quali e quanti politici sarebbero in grado di dire di se stessi che la differenza fra loro e un pitbull è soltanto il rossetto (o la penna stilografica). Ho provato un’invidia nera per l’America che sta per votare, per la parte della mia famiglia che voterà, perché la scelta degli elettori è limpida, forte, aperta. Una scelta che non coinvolge solo interessi, ma l’Anima americana. Penso che alla fine vincerà McCain e che Obama perderà, come perse John Kerry che tutta la sinistra mondiale dava per vincitore. Il candidato repubblicano ha scommesso infatti su un’America che ritrova se stessa, mentre Obama ha scommesso su un’America che possa superarsi negandosi: una operazione coraggiosa, ma fragile di fronte alle sfide di politica estera. Certo, McCain che ieri ha pronunciato il discorso di accettazione promettendo la guerra contro “la casta” di Washington, resta pur sempre un Old Boy, un americano bianco con le sue radici europee, mentre Obama è in parte uno straniero, la cui pelle non deriva da quella degli schiavi americani, ma da un intellettuale africano che comparve sul suolo degli Stati Uniti per fare l’Università.

L’America di McCain è tuttavia un’America ringhiosa e pacifica che intende evitare le guerre affrontando brutalmente le sfide del presente in nome dei principi che nascono da una democrazia rivoluzionaria e anticolonialista, individualista e saldamente religiosa. In Europa e in America si fa credere che McCain possa essere pericoloso perché mostra i muscoli, mentre Obama trasuda bontà.

In realtà è vero il contrario: Obama è pericoloso perché la sua conoscenza della politica estera è quasi nulla rispetto a quella del vecchio combattente diventato un simbolo del patriottismo americano, che ha la sua linea di continuità nell’identità forte, forti valori e principi, forte consapevolezza delle responsabilità planetarie della più grande democrazia della Terra.

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