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L’Inter ci ripensa al novantesimo: oggi in campo nella tournée inglese

L’Inter ci ripensa al novantesimo: oggi in campo nella tournée inglese

Riccardo Signori

Il colpo d’occhio migliore l’ha regalato Neil Doncaster, direttore generale del Norwich. «È stata la soluzione felice di un episodio caotico». In due parole c’è tutta l’Inter, tutta una storia. Soluzione felice, per gli inglesi. Ovvero: l’Inter ieri sera ha preso un aereo da Verona ed è partita per l’Inghilterra dove oggi giocherà la prima partita con il Leicester, e poi le altre nei giorni seguenti. Episodio caotico in sintonia con tutto quanto fa nerazzurro: dall’indecisionismo totale, al potere messo nelle mani dei giocatori, fino all’incapacità di cavarsi d’impaccio senza uscirne con le ossa rotte. La tournée dell’Inter è diventata un affare di Stato e si è risolta come comandava la legge che si sono dati gli Stati d’Europa: non bisogna darla vinta ai terroristi. Però c’è voluto l’intervento del governo inglese e anche quello del governo del calcio italiano per convincere Moratti che la brutta figura non poteva essere trascinata oltre.
L’Inter si è trovata principalmente prigioniera del volere dei suoi giocatori, assecondati dai dirigenti. Ieri il presidente interista, Giacinto Facchetti, ha fatto emettere un laconico comunicato: «Confermo che la squadra partirà per tenere fede agli impegni presi con gli organizzatori inglesi». Ma è bastato che parlasse Richard Carbon, ministro inglese dello Sport, per svelare tutto il dietro le quinte che ha condotto alla decisione. «Mi sono arrivate forti pressioni dai club coinvolti e ho parlato con il mio collega Mario Pescante. Lui ha parlato con il presidente della federcalcio italiana. Hanno fatto le dovute lamentele all’Inter, eppoi mi hanno richiamato dicendomi che il problema era risolto: la tournée ci sarebbe stata».
Massimo Moratti non aspettava altro per rompere gli indugi, come si è intuito dalla prima retromarcia di venerdì sera in cui la proprietà si metteva in prima linea per garantire la tournée inglese. Sono tante le ragioni che legano Moratti all’Inghilterra: interessi personali, aziendali e, magari, dello sponsor. Stavolta il colpo è arrivato al cuore: la squadra gli ha votato contro. I giocatori che avevano vinto il primo round («non si parte»), saputo dell’inversione di tendenza, hanno mugugnato a lungo: non si parli di rivolta, ma di voglia di rivoltarsi. Lo dice anche la strana convocazione di Mancini che ha lasciato a casa la gran parte dei titolari. Si è sprecata la fantasia (all’Inter non ne hanno molta) nel trovare scuse. Nessuno ha avuto la forza di raccontare la storia nei contorni che forse avrebbero sollevato le responsabilità della società: i giocatori non volevano rischiare, qualcuno ha messo in primo piano i suoi interessi per la famiglia. Dall’elenco dei partenti sono stati defalcati molti sudamericani. Adriano, Cambiasso e Javier Zanetti dovrebbero (meglio usare il condizionale) raggiungere la squadra mercoledì.
A caso si è aggiunto caso: l’altra sera un falso allarme bomba ha interrotto una partita fra Darlington e Middlesbrough e il pubblico è stato costretto ad evacuare lo stadio. Non proprio un invito a fare le valigie. Ma quando l’Inter ha annunciato la partenza, le squadre inglesi interessate hanno tirato un sospiro di sollievo. E anche il mondo politico. Per tutti contava dimostrare che il terrorismo non ferma il mondo. Il tema della sicurezza è diventato prioritario nel calcio inglese: il 13 agosto partirà la Premier league. Governo e responsabili della sicurezza stanno approntando misure particolari. Solo l’Inter avrebbe infranto un patto non scritto: in Inghilterra le competizioni sportive non si sono fermate. «Ora pensiamo solo alle splendide partite a cui assisteremo. Siamo contenti che le pressioni del governo abbiano avuto successo. Conta soprattutto il messaggio che daremo al mondo», ha concluso Neil Doncaster, quello della foto sull’Inter.

«C’è stata un po’ di confusione, la società voleva solo verificare che ci fossero condizioni corrette», ha infine raccontato Giancarlo Aragona, ambasciatore italiano a Londra, che ha allungato la lista delle pietose bugie.

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