Politica

L’inutile persecuzione

In un sistema giudiziario moderno ed evoluto, ispirato al diritto romano e magari al diritto comune, quello perugino di Baldo degli Ubaldi e Bartolo di Sassoferrato, piuttosto che alla giurisprudenza della Controriforma o alla logica iniqua dell’amico-nemico, non starei qui a commentare l’ennesima assoluzione – quella per la faccenda All Iberian - di Silvio Berlusconi, per il semplice fatto che pressoché tutti i procedimenti a carico del presidente del Consiglio non sarebbero stati neppure incardinati.
Giovanni Giolitti una volta, illustrando i modi della giustizia italiana, disse: «La legge con gli amici si interpreta, con gli altri si applica», dimenticando che anche con i nemici il codice viene spesso interpretato, adattato e forzato, non solo applicato.
Ebbene, con Berlusconi la legge è stata a lungo «interpretata», sino a fare della «obbligatorietà dell’azione penale» una sorta di capitolo monografico ad personam, impegnando, così, interi pool nella ricerca di indizi e magari di «prove logiche» versus un solo uomo eletto come imputato totale.
Dal giorno della sua discesa in campo si è avuta, infatti, una vera e propria mobilitazione da parte di certune Procure, dalle quali sono partite accuse gravissime, infamanti, mostruose, surreali, fantasmagoriche, rivelatesi col tempo del tutto campate in aria, ma quando ormai il danno all’immagine, coltivato e ricamato dai grandi mass media, era stato già grave e pesante, sino ad alimentare in certi ambienti odio razzistico verso la persona e i suoi collaboratori.
Il risultato del lavoro militante del circo mediatico-giudiziario ha dato di conseguenza frutti avvelenati ed un clima di latente violenza, verbale e non solo, viste le aggressioni fisiche.
Quest’anno, a Bologna, dopo un brutale sequestro di due ragazzini da parte di due extracomunitari maghrebini, seguito da una efferata violenza carnale, il procuratore capo della città, chiamato a commentare la brutta vicenda, finì per coinvolgere in maniera sanguinosa e del tutto gratuita Silvio Berlusconi, additandolo come responsabile morale: «...Il premier che non offre valori ai cittadini, che difende il sommerso come una risorsa dell’economia, infondendo nei giovani la credenza per la quale l’illegalità sia la pratica da seguire, perché chi commette reati vede che certi valori mancano alla classe dirigente».
Quando Berlusconi fu assolto con formula piena dalla Cassazione per la vicenda Guardia di Finanza (quel misterioso intreccio di Procure frettolose, di scoop in tempo reale con tanto di fotocopie dell’invito a comparire, di telefonate irrituali tra giornalisti, procuratori, Pm e, poi, tra Borrelli e Scalfaro) scrisse al Corriere della Sera, esortandone il direttore De Bortoli a dare alla notizia un risalto almeno pari a quello dello scoop del 22 novembre 1994.
La richiesta non fu esaudita, così come per la sentenza di ieri, invece di prendere atto e farla finita con le demonizzazioni, si assiste all’indecente reazione di chi vorrebbe trasformare in condanna un’assoluzione.


Invece, che Berlusconi, per l’ennesima volta, è stato mandato assolto, va detto alto e forte, alla faccia di quanti hanno attivamente partecipato, per dieci anni, alla caccia all’uomo.

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