Cronache

L’occhio di Galardi sul mondo

L’occhio di Galardi sul mondo

Avrà avuto vent'anni e gli studi in ingegneria lo impegnavano, come si ama ricordare, giorno e notte. Ma il tempo per dedicarsi a quel regalo che si era concesso, una macchina fotografica, riusciva sempre a trovarlo. Quel tempo non lo avrebbe smentito e soprattutto non lo avrebbe deluso. Sì, perché Fernando Galardi (Chiavari, 1932) ancora oggi gira il mondo, sia questo un altro parallelo, un giardino o lo studio di uno dei tanti amici artisti - il primo: Luiso Sturla, dai banchi di scuola - con lo stesso sorriso. Quello di chi sa ascoltarsi ma ancora meglio ascoltare, e attendere un momento di consonanza con quanto lo circonda senza cali di entusiasmo. Se la passione è la più fedele delle alchimie Galardi, di certo, se ne prende cura da una vita. La sua, quella riconosciuta con il premio Turio Copello alla Società Economica di Chiavari (domani alle 21) e che determina il susseguirsi delle sue immagini alla galleria Il Punto (piazza Scuole Pie 10, Genova, fino al 21 ottobre 2009) in una mostra che, non casualmente, ha un titolo semplice quanto incisivo: «Il mio occhio sul mondo».
Ed eccoci, allora, nei giorni di Fernando Galardi. Giorni scanditi da incontri, progetti e tante collaborazioni, anche nel cinema. Ma è la fotografia, unita all'amore per la poesia, compresa quella umana, il suo termine di confronto. Poesia che si fa immagine nell'avventura di «Licheni, un campionario del mondo» dell'amico Camillo Sbarbaro (1967) ove un assolato bianco e nero fa contrappunto al verbo poetico per cogliere la prodezza delle sfide di questi esili rami. Uno è diventato un simbolo per i lettori dell'Oscar Mondadori, ma Galardi di Sbarbaro ha anche trattenuto e sciolto gli affetti degli anni a Spotorno con la sorella Lina nei ritratti. Già, i ritratti: negli anni Galardi ha costruito un mosaico che abbraccia ben più di una generazione di artisti e intellettuali - da Giannetto Fieschi a Lele Luzzati, da Omero Antonutti ad Adolfo Celi - con una volontà quasi antropologica. Dove l'uomo, però, non è sotto analisi, ma è interlocutore e compagno per empatia, come rivelano le pagine di «Artisti liguri nelle immagini di Fernando Galardi» (2007).
E poi la città. Quella che si stringe per crescere tra mari e monti quanto quella ignota, altra e straniera. Per poi scoprire quello che già sapeva, che uomo e natura sono tali nella loro intimità. Per questo i ritratti, per questo l'Africa, cui ha dedicato il libro «Savana, sesto giorno dalla creazione» già nel '67 e che oggi torna in un fiore o in un ramo. In un pezzo di quella natura dove l'uomo è davvero solo una parte del creato. Quella dove Galardi vive, senza stancarsi di scrutare e assediare quanto lo circonda.

Ma con amore.

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