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L’Onu denuncia: l’Iran raddoppia gli impianti nucleari

Già attive 1.300 centrifughe per arricchire uranio Incontro tra Israele e gli Usa: no all’opzione militare

A Gerusalemme il segretario alla Difesa statunitense Robert Gates e il premier israeliano Ehud Olmert discutono la questione nucleare iraniana e si guardano bene dal menzionare qualsiasi possibile opzione militare. Ma intanto nei laboratori sotterranei di Natanz i tecnici della Repubblica islamica raddoppiano gli impianti di arricchimento dell’uranio e si avvicinano al traguardo delle tremila centrifughe. A certificare gli annunci del presidente Mahmoud Ahmadinejad sull’imminente avvio di un «arricchimento a livello industriale» ci pensa l’Agenzia internazionale per l’agenzia atomica. I rapporti dell’Aiea sottolineano l’ennesima violazione di tutti gli ultimatum del Consiglio di sicurezza dell’Onu e confermano l’entrata in attività di circa 1.300 centrifughe. L’obbiettivo delle tremila centrifughe prospettato per fine maggio da Ahmadinejad sembra dunque vicino: basterebbero in teoria per produrre, in un solo anno, il combustibile nucleare necessario per un primo ordigno nucleare.
Ma teoria e pratica nella complessa tecnologia nucleare non sempre viaggiano parallele. Per arrivare a un’effettiva produzione industriale gli scienziati di Teheran devono prima risolvere i problemi di affidabilità delle loro obsolete centrifughe. Le frequenti rotture determinate da una velocità di rotazione superiore a quella del suono permettono per ora soltanto la produzione di quantità limitate di uranio arricchito. «La quantità di esafloruro di uranio (minerale allo stato gassoso) introdotto nella catena è per ora molto limitata e le varie centrifughe collegate a cascata lavorano a pressioni molto basse. Finché l’attività resterà a questo livello l’Iran non potrà dire di aver superato lo stadio iniziale nel campo dell’arricchimento», spiegano gli esperti dell’Istituto per la scienza e la sicurezza internazionale, un think tank di Washington attentissimo nel seguire la ricerca atomica di Teheran. L’Aiea condivide, ma sottolinea il tentativo di alzare il livello della sfida all’Onu. «Vogliono far capire – spiega una fonte dell’Aiea - di esser pronti a superare anche questa soglia. Sembra un messaggio politico alle grandi potenze rivolto ad alzare il prezzo di qualsiasi futuro negoziato».
Per ora anche l’amministrazione americana sembra ben contenta di mantenere lo scontro a livello diplomatico. E a Gerusalemme il segretario alla Difesa Robert Gates segue la stessa linea escludendo qualsiasi raid preventivo contro i siti nucleari di Teheran. Non tutti in Israele la pensano così. E a guidare le legioni degli interventisti si schiera, con una mossa a sorpresa, l’anziano ex capo del Mossad Meir Amit. L’ottantenne ex spia ideatore, negli anni Sessanta, delle più spericolate operazioni all’estero, è convinto della necessità di colpire per primi eliminando il presidente Mahmoud Ahmadinejad.

«Sono sempre stato contrario a uccidere i capi arabi, ma stavolta – sostiene – è diverso, perché Ahmadinejad è al centro di tutti i piani nucleari».

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