Economia

L'aumento delle accise prosciuga la birra: consumi a picco nei mesi estivi

Da luglio a settembre -26% a causa della maggiore tassazione. A rischio una filiera che "fattura" 3,2 miliardi e dà lavoro a 136mila persone

L'aumento delle accise prosciuga la birra: consumi a picco nei mesi estivi

Un crollo del 26 per cento dei consumi da luglio a settembre, ovvero proprio nei mesi clou per la birra. Causa di una stagione particolarmente incerta, ma soprattutto del certissimo aumento delle accise. Che stanno mettendo in ginocchio un settore che ha un fatturato annuo di 3,2 miliardi e dà lavoro a 136mila persone.

L'allarme è lanciato da Assobirra, che presenta i risultati di uno studio di Ref Ricerche e chiede almeno al governo Renzi di scongiurare l'ulteriore aumento previsto a partire dal 1° gennaio 2015 dopo quello scattato lo scorso anno e deciso dal governo Letta. L'obiettivo a lungo termine è però quello di ridurre la pressione fiscale sull'intera filiera, in modo da salvare i posti di lavoro e di crearne nuovo. «I dati dimostrano che, se il nostro Paese non avesse un peso della fiscalità così alto sulla birra, potrebbe generare occupazione in maniera molto consistente. Con accise tre o quattro volte inferiori come quelle di Germania o Spagna - spiega Alberto Frausin, presidente di AssoBirra - saremmo in grado di generare 5mila nuovi posti di lavoro, ai quali si andrebbero a sommare quelli che Ref stima verranno persi a causa dell'aumento di questi mesi (circa 2400). Insomma, oltre 7mila posti di lavoro in un solo anno».

La birra pesa in maniera rilevante sul fatturato dei pubblici esercizi: secondo dati Fipe-Confcommercio in media il 12 per cento degli incassi vengono garantiti da questa bevanda, ma si arriva anche al 20 per cento per i bar serali e addirittura al 43 per cento per i bar/birrerie. E il settore della birra ha un effetto positivo molto chiaro sull'occupazione: si stima che un posto di lavoro in questo settore ne generi 24,5 nell'ospitalità (bar, ristoranti, alberghi), 1 nell'agricoltura, 1,3 nella supply chain (imballaggio, logistica, marketing e altri servizi) e 1,2 nella distribuzione (Gdo e dettaglio).

Secondo il presidente di AssoBirra «intervenire oggi sull'aumento del 1° gennaio 2015 vorrebbe anche dire tutelare un prodotto che rischia di pagare un grave svantaggio competitivo rispetto agli altri produttori europei: basti pensare che con questo ulteriore aumento su un ettolitro di birra a Roma si pagheranno 38 euro mentre e a a Berlino 9».

L'Italia resta il mercato con i maggiori volumi di import di birra (pari a 6milioni e 175mila ettolitri nel 2013), complice anche «una competizione fiscale sleale da parte di vari paesi europei, fondata su norme nazionali poco rigorose sulla denominazione del prodotto che permettono di commercializzare a prezzi molto competitivi birre di minor qualità, che rischiano di mettere fuori mercato gli operatori italiani». «Anche per questo - conclude Frausin - è importante che il Governo Renzi intervenga, perché la scelta di questo ingiusto aumento va a colpire la competitività del nostro prodotto, che resta l'unica bevanda alcolica da pasto su cui grava l'accisa (nel nostro Paese non pagano le accise le bevande alcoliche che rappresentano il 65 per cento dei consumi di alcol).

La birra è la bevanda alcolica preferita dagli under 54 (secondo uno studio Ipsos-AssoBirra) e nell'80 per cento dei casi viene bevuta "a pasto", quindi in modo responsabile e secondo uno stile di consumo che definiamo "mediterraneo", ossia senza eccessi e in maniera consapevole».

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