Cultura e Spettacoli

Ironico gigante tra nani conformisti

Longanesi fu frondista sotto il fascismo, fascista ai tempi dell'antifascismo e borghese fra i "rivoluzionari"

Ironico gigante tra nani conformisti

Elenco, incompleto ma non del tutto inutile al fine di capirne intellettualità, delle qualifiche di Leo Longanesi, nato a Bagnacavallo il 30 agosto 1905, professione «longanesiano»: giornalista, scrittore, editore, grafico, fotografo, disegnatore, illustratore, tipografo, copywriter, regista (nel 1943 gira Dieci minuti di vita , film a episodi interrotto all'annuncio dell'armistizio), pubblicitario, art director, pittore, opinion maker , imprenditore, aforista.

Fu stroncato da un infarto il 27 settembre 1957 nello studio milanese di via Bigli, fra i suoi arnesi: mozziconi di matita, gomme, fogli, giornali, libri, foto, vasetti di colle, forbici arrugginite, pacchi di egotismo, ritagli di superbia e cinismo ben temperato. Prima di accasciarsi in mezzo ai ferri del mestiere, fece in tempo a dire: «Meglio così». Invece fu un peccato. Aveva 52 anni e - c'è da credere - ancora un sacco di idee da realizzare. Per dirla col nome di una sua rivista, ne aveva per tutti. Omnibus . Comunque, fino ad allora, Leo Longanesi - che già prima di morire era stato rimosso dai fascisti e maledetto dagli antifascisti - aveva, nell'ordine: fondato e diretto 14 riviste, collaborato attivamente ad altre sei, scritto 15 libri, firmato migliaia di articoli, mandato fuori cinque commedie e quattro sceneggiature, esposto i suoi quadri a decine di mostre (due volte alla Quadriennale e anche alla Biennale di Venezia del '34), curato collane e fondato case editrici (tra cui la sua, la Longanesi, che aprì nel 1946 e da cui fu di fatto allontanato dieci anni dopo), scoperto decine di talenti giornalistici e letterari, pubblicato centinaia di libri di centinaia di autori italiani e stranieri, disegnato migliaia di vignette e bozzetti, inventato un carattere tipografico, curato campagne pubblicitarie di varie aziende (la Piaggio, ad esempio, per la Vespa), coniato slogan diventati di culto (due per tutti: «Cynar, contro il logorio della vita moderna» e «Come natura crea, Cirio raccoglie») e disseminato qua e là abbondanti manciate di aforismi. Pur odiando ferocemente, come tutti quelli che ne fanno parte, la categoria degli intellettuali, fu un intellettuale multitasking ante litteram . Faceva tutto contemporaneamente, e mediamente molto bene.

A proposito di elenchi. Leo Longanesi, a riprova che fu soltanto se stesso, è stato inquadrato anche in molte definizioni. Ne buttiamo giù qualcuna: «irregolare del pensiero», «intellettuale anarchico», «mussoliniano disorganico», «fascista rosso», «fascista rivoluzionario», «rivoluzionario di destra», «controriformista», «conservatore scomodo», «borghese in nero».

Ma chi fu, davvero, Leo Longanesi? Nessuno lo sa. E per fortuna non ce lo dice neppure la nuova puntigliosa e onesta biografia del giovane Francesco Giubilei: Leo Longanesi. Il borghese conservatore (Odoya). Perché chi o cosa fu Longanesi, non lo sapeva neppure lui. E se anche lo sapeva non l'ha mai dato a vedere, fedele al motto che gli è stato attribuito: «Passò la vita a mostrarsi peggiore di quello che era».

Fascistissimo, sotto Mussolini faceva la fronda. Nostalgico, caduto Mussolini rivendicò tutto il proprio fascismo. Anti-borghese per costituzione intellettuale, diede nome alla sua creatura più bella Il Borghese . Individualista e solitario, sapeva come conquistare le masse e i lettori. Critico della modernità al limite dalla reazione, capì prima di tutti le potenzialità della televisione e sfruttò quelle del marketing editoriale. Sofisticato, sapeva bene come fare giornali popolari. Editore modernissimo, faceva tutto artigianalmente. Voce fra le più libere e controcorrente, era sempre alla ricerca di qualcuno che concedesse sostegno e soldi alle sue idee. Letterato squisito e scrittore nato, non scrisse mai un romanzo. Amato da tutti, era un maestro nell'odiare. E soprattutto, schifato dall'Italia - sia quella mussoliniana, sia quella antifascista, sia quella democristiana - l'amava come pochi altri. Tanto che non perdeva occasione per fustigarla, irriderla, compiangerla, correggerla, spronarla. All'inizio pensò che l'Italia potesse salvarla Mussolini, il quale secondo lui aveva sempre ragione. Poi gli anti-antifascisti, non appena scoprì che i vizi italici erano rimasti invariati, se non peggiorati, nel passaggio dalla dittatura alla democrazia. E infine le «vecchie zie», ultimo baluardo, con le loro piccole virtù, dei valori e dei costumi tradizionali corrotti dalla modernità. Prendiamo Il Borghese , che mandò in edicola il 15 marzo 1950, un giornale unico nel suo genere per intelligenza, novità, sarcasmo. Fu - come ricorda Vittorio Feltri che ne fu ultimo direttore - «Il primo e unico settimanale anticonformista uscito nell'Italia repubblicana... Era un antidepressivo. I lettori lo acquistavano per non morire di noia democristiana e aiutare la loro anima ad affrontare le nequizie del cattocomunismo in procinto di mettere le radici nel nostro Paese». Pensato per contrastare l'egemonia della sinistra nella cultura italiana e «opporsi alla divulgazione di una storia “scritta dai vincitori” e non piegarsi alla “retorica” della resistenza», come ha scritto un altro attento biografo di Longanesi, Il Borghese fu davvero negli anni Cinquanta, per le sue copertine, i suoi articoli, le firme, le illustrazioni, il micidiale inserto fotografico, la sua ironia, il sarcasmo, per tutto questo e molto altro, un gigante di carta contro i nani politici del conformismo imperante. E infatti si attirò nemici sia a sinistra sia a destra.

Dallo spettro del compromesso storico già paventato da Longanesi alla realtà del pasticcio neo-democristiano del Nazareno di oggi, quanto sarebbe bello leggere, ora, un nuovo Borghese . Anche se - senza Longanesi - è meglio che non ci sia. E poi, quel cast: Baldacci, Missiroli, Spadolini, Prezzolini, Henry Furst, Montanelli... Dove lo trovi?

Per il resto, forse ha più senso ricordare cosa scriveva Leo Longanesi all'amico e fidato collaboratore Giovanni Ansaldo, subito dopo il suo arrivo a Milano, agli inizi del '46: «In questi ultimi tempi ho capito che la miglior cosa è non fare nulla che mi leghi alla politica... Ho già visto molti di quelli che ci volevano fucilati venire a chiedere di pubblicare un libro... La nuova classe dirigente è talmente cretina».

Che dire? Longanesi ha sempre ragione.

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