Letteratura

A caccia di criminali con l'agente Cobra

Attilio Alessandri è stato per 40 anni l'agente Cobra, uno dei poliziotti più decorati e temuti della Capitale. In un libro racconta la sua incredibile storia

A caccia di criminali con l'agente Cobra

In tempi non sospetti era stato ospite del corso di giornalismo d’inchiesta della Newsroom Academy di InsideOver per raccontare la propria esperienza nel corso dell’Operazione Colosseo, la gigantesca retata che portò allo smantellamento della Banda della Magliana. Oggi Attilio Alessandri, aka Agente Cobra, arriva nelle librerie italiane con un libro che è insieme memoir e romanzo d’azione, biografia e cronaca.

È di pochi giorni fa la pubblicazione di Agente Cobra, la mia vita di cacciatore di criminali (Chiarelettere), un libro che sin dalle prime ore dalla sua comparsa sugli scaffali ha suscitato un grande interesse da parte del pubblico.

Alessandri, dopotutto, è stato per 40 anni [fino alla pensione arrivata nel 2022] uno dei poliziotti più decorati e temuti della Capitale. Tanti gli arresti eccellenti che può contare nella sua carriera – dal cassiere della mafia Pippo Calò, al principe del narcotraffico Massimiliano Avesani; da Massimo Carminati a uno dei due killer di Luca Sacchi -, tanti i nemici che si è fatto nel corso del tempo, tanto che ancora oggi, in occasione di interviste o incontri con il pubblico, è costretto a celare il suo volto.

Citato anche da Roberto Saviano nel suo romanzo Zero zero zero, Alessandri ha dato alle stampe un libro che non è un’autocelebrazione, ma che si pone come racconto corale, quello della sua squadra, la “Squadra Cobra”, appunto, organica nella V Sezione antirapina della Squadra Mobile di Roma. Una squadra preposta a contrastare le batterie di banditi specializzate negli assalti ai furgoni portavalori, alle banche e agli uffici postali.

E se rispetto ai primi anni Duemila questo genere di rapine, su Roma e nel Lazio, hanno subìto un drastico calo, il merito è un po’ della Squadra Cobra e del suo carismatico creatore, Attilio Alessandri, che con riferimento agli inizi della sua carriera, nel pieno degli anni di piombo, ci dice “noi poliziotti dovevamo essere cattivi come loro, come i criminali cui davamo la caccia”.

Un poliziotto da strada, uno sbirro senza divisa, mimetizzato e completamente assorbito del contesto urbano in cui negli anni Ottanta imperversavano Nar, Brigate rosse, Banda della Magliana, da quel contesto urbano forse abbrutito nella scorza esterna, ma mai piegato.

Nel suo libro Alessandri racconta di una vita di rinunce sul piano privato, di un lavoro che si trasforma sin da subito in una missione: “La prima spinta ad arruolarmi fu l’immagine della scorta di Moro trucidata in via Fani. Successivamente sono andato alla sezione antirapine perché non mi andava giù il fatto che gruppi di banditi, in pochi minuti, riuscissero a portare a termine colpi che fruttavano centinaia di milioni di lire esercitando il loro strapotere criminale. Dovevo fermarli. È quello in cui mi sono impegnato tutta la vita”.

Tra inseguimenti, attività d’indagine, sparatorie da far west, le pagine del libro ci portano in una Roma criminale dove i quartieri sono universi a sé, dove i conti si regolano in modi spicci e brutali. Due, in particolari, gli episodi che restano maggiormente impressi: l’arresto della “banda dei burini” e l’ultimo scontro a fuoco in cui l’ “Agente Cobra” è rimasto coinvolto.

I primi – esperti nell’assaltare i furgoni porta valore – negli anni Novanta si erano resi protagonisti di un colpo tanto clamoroso quanto cruento, assaltando un furgone blindato con l’ausilio di una ruspa. La benna meccanica, in quell’occasione, era penetrata nell’abitacolo uccidendo il conducente del mezzo e ferendo gravemente il passeggero; in seguito il furgone era stato letteralmente sezionato per sottrarre la refurtiva. Quando la Squadra Cobra, con il supporto del reparto operativo dei Carabinieri, li arresta di nuovo dopo 16 anni, i “burini” potevano contare su un vero e proprio arsenale da guerra e solo la prontezza dell’intervento ha scongiurato il peggio.

Per quanto riguarda il secondo episodio, colpisce il racconto che si ritrova nel libro, ma che ci conferma lo stesso Alessandri anche di persona. Era il 2016 è quella volta l’Agente Cobra ebbe paura.

Non che la paura non l’avesse mai accompagnato prima, tutt’altro. Ma stavolta era diverso. Questa volta l’Agente Cobra ha veramente temuto di mordere l’asfalto sotto la pioggia di proiettili dei due banditi che, una volta saltato il colpo che avevano programmato di compiere in un ufficio postale, invece di scappare tentano di uccidere il primo poliziotto arrivato sulla scena. “Ho avuto paura di morire, ho pensato alle mie figlie” ci dice.

Per fortuna, anche quella volta – come del resto tutte le altre – Alessandri ne è uscito tutto intero. Sì, perché nonostante tutto, nessuno della sua squadra nel corso degli anni è mai rimasto ferito, così come nessun bandito. E questo perché al piombo, l’agente Cobra ha sempre preferito anteporre le parole e una rigorosa attività di prevenzione.

“Questo libro è dedicato alle vittime del dovere di ogni Arma. L’ho scritto pensando di rivolgermi ai giovani poliziotti”. Ma anche non essendo giovani poliziotti, è comunque la preziosa testimonianza di un mondo che esiste e che si colloca in quella famosa “terra di mezzo” di carminatiana memoria.

E se è lì che questo mondo resta relegato è per merito di persone che – come Attilio Alessandri – fanno del loro lavoro una ragione di vita.

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