Letteratura

"Il consumismo ci cannibalizza»"

In "Pulsar" lo scrittore oscilla fra memoria individuale e vita collettiva, dall'io al noi

"Il consumismo ci cannibalizza»"

I limiti anagrafici non sono tutto. Nasciamo e moriamo anche prima o dopo le nostre date di nascita e di decesso. Così ho pensato dopo aver finito di leggere l'ultimo libro di Aldo Nove, Pulsar (Il Saggiatore, pagg. 240, euro 17). C'è un io narrante che inizia a ricordare da prima della nascita, nel 1967 (è ancora un feto), e s'inoltra nel futuro, oltre il 2040, fino al 188421, o a «un anno non definito». «Il protagonista di questo libro si chiama Antonello. Antonello Centanin», scrive l'autore all'inizio. Antonello Centanin è però il nome vero di Aldo Nove. Per i dettagli, rinviamo a Wikipedia. Comunque è, anno per anno, il racconto di una vita. La sua? Gliel'ho chiesto, ma ha voluto comunicare solo in forma scritta. Spero di non aver intervistato un avatar. Ormai si sospetta di tutto.

Pulsar è un'autobiografia? E se sì, è la sua? E che rapporto c'è tra lei e Antonio, o Antonello, Centanin?

«Credo che abbiamo tutti molteplici personalità e in tanti, in letteratura (penso a Pirandello, su tutti, da noi) hanno affrontato questo tema. Così è del resto in psicanalisi. Ma credo ci sia un elemento che prevalga su tutti: proprio per la sua natura multiforme, ogni biografia è in qualche modo la biografia di tutti».

Visti i riferimenti, chi è nato nei Sessanta potrà identificarsi meglio. Soprattutto se è nato nel Nord Italia, meglio ancora in Lombardia, meglio ancora a Viggiù, provincia di Varese. Dopo decenni passati in Lombardia, prima nella sua Viggiù e poi a Milano, ha deciso di vivere in Calabria. Perché?

«All'inizio è stato un caso, se il caso esiste. Diciamo che una combinazione felice di fattori, e l'intervento del mio caro amico e collega (nel senso di poeta e scrittore) Michele Caccamo, mi hanno trasferito qui. Dove ho trovato una genuinità, un senso della vita in qualche modo ancestrale e per quello profondamente umana. L'Occidente è impazzito e credo sia da queste periferie che possa nascere qualcosa di diverso dal suicidio collettivo di questi ultimi decenni. La Calabria, volente o nolente che sia, è terra di resistenza».

Lei pubblica dagli anni '90. Tra i suoi libri, La vita oscena, Amore mio infinito, e il primo: Woobinda. Contengono riferimenti a oggetti e avvenimenti storici condivisi dalla sua generazione. Che valore attribuisce a quel periodo?

«Quello dell'ultima fase ascendente di un processo storico (dal Dopoguerra in poi) che ci parla di noi, anche adesso».

La maturazione del protagonista passa attraverso una rassegna di oggetti di consumo e di esperienze televisive, dall'Uomo in ammollo all'orrore in diretta tv di Alfredo Rampi, dal malto d'orzo in polvere Ecco al telefilm Ritratto di donna velata; è probabile che chi è nato dopo la metà degli anni Ottanta non sappia nulla di queste cose. I cosiddetti boomers invece riconosceranno la loro infanzia. Può questo libro parlare anche a lettori giovani?

«Innanzi tutto trovo il neologismo boomers demenziale. Finalizzato solo a estremizzare una separazione tra generazioni che ha come unico elemento reale la sempre più forte prevalenza della tecnologia nelle nostre vite, fino al contrappasso alla virtualità. Credo che sia fondamentale essere consapevoli dei processi storici. Sarebbe catastrofico (e la catastrofe è in atto) negare il nostro effettivo, immediato passato. La nostra attuale cancel culture lo sta facendo».

Nelle ultime quaranta pagine circa, per me la lettura di Pulsar si è fatta molto complessa, a tratti incomprensibile. Mi sono venute in mente definizioni come «sperimentale» e «d'avanguardia». Sono categorie che hanno ancora un senso?

«Tutto ciò che è stato ha un senso. Il problema al limite è la loro attualità. Credo ci sia un grosso deficit cognitivo, oltre che d'attenzione, nella cultura di massa, se cultura la si può chiamare. Le avanguardie, quelle storiche e poi le neoavanguardie, in cui hanno militato i miei maestri e amici Nanni Balestrini e Edoardo Sanguineti, hanno voluto evidenziare proprio le mutazioni sociali e quindi linguistiche. E io mi trovo nel solco del loro operato, per come possa esprimerlo a decenni di distanza».

A metà degli anni '90, ha fatto parte dei «Cannibali». A distanza di quasi tre decenni ritiene di averne tratto vantaggio? Che cosa è rimasto di quegli autori e di quel periodo?

«Se ne è parlato molto perché è stato l'ultimo movimento letterario italiano. Sarà come sempre la Storia a dirci quale peso abbiano avuto nella nostra società e nella nostra letteratura. Non ho idea di quali siano stati i vantaggi o gli svantaggi che posso avere tratto da quell'esperienza. Certo sono orgoglioso di avere condiviso con grandi autori come Isabella Santacroce o Tiziano Scarpa un percorso di ricerca in comune. Come dicevo, l'ultimo».

Anni in cui si parlava di contaminazione. La cultura pop, aveva fatto irruzione nella narrativa. Chissà se oggi ha ancora senso, se mai ne ha avuto uno, parlare di cultura alta e bassa, o se la comunicazione digitale ha omologato tutto...

«Entrambe le cose. Certo la tendenza all'omologazione, direi al rimbecillimento collettivo, ha vinto. Ma è proprio da chi ha perso, da chi si ostina a studiare e a leggere, che può rinascere qualcosa, pur nella sua marginalità».

Anche in Pulsar si evince la sua formazione cattolica e di sinistra. E oggi, crede nella politica e nelle istituzioni?

«Ci sono, e quindi ci credo».

Un altro tema: il rapporto tra la natura umana e le merci. Come si sta evolvendo il consumismo? Siamo schiavi degli oggetti che desideriamo?

«Il consumismo non si evolve: consuma. La nostra storia, le nostre menti. E ora i nostri corpi. Siamo schiavi dei nostri padroni. A noi capire chi siano e cosa ciò comporti».

Antonello Centanin percepisce un vitalizio previsto dalla Legge Bacchelli, assegnato a chi si distingua per meriti culturali, scientifici, sportivi, e si trovi in stato di necessità. Non mi pare che gli faccia piacere parlarne. In pubblico non lo si vede da tempo. E premi, saloni, rassegne, festival?

«Mi occupo di altro. In questo momento sto rileggendo Properzio, e le sue bellissime elegie nella traduzione di Gabriella Leto. Trovo Properzio molto più elevato di Catullo, e credo abbia ancora molto da insegnarci sull'amore per la vita.

Quella reale».

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