Letteratura

La libertà della letteratura contro lo spietato comunismo

Con l'autore ceco dell'"Insostenibile leggerezza dell'essere" muore l'ultimo romanziere autenticamente "europeo"

La libertà della letteratura contro lo spietato comunismo

Con sinistra preveggenza, Gallimard ha mandato in libreria, il mese scorso, una biografia di Milan Kundera. A firmarla è Florence Noiville, antica amica di Kundera, che all'arte della biografia ne ha scritta una, di successo, su Isaac B. Singer alterna, per sport, il romanzo. Il libro ha due fermoimmagine, per così dire, che fungono da icona. Nel primo c'è Milan Kundera, arreso alla demenza, che domanda, in ceco, ossessivamente, «Che fa per vivere?»; quando la tizia gli risponde, «Scrivo», lui passa al francese e replica, in gergo kunderiano: «Scrivere? Che roba buffa!». Nell'altra immagine c'è Vera, la moglie di Kundera, che sbriciola, letteralmente, corrispondenze e documenti di Milan. «Dalla metà degli anni Ottanta, Milan Kundera ha cercato di annientarsi. Nessun discorso, nessuna intervista. Nessuna traccia pubblica di una vita reale. Nulla, di Milan, dopo Milan dovrà rimanere. Tranne i suoi libri. Dobbiamo far credere ai posteri di non aver vissuto, diceva Flaubert; così dice Kundera».

Di Milan Kundera, per lo più, sappiamo tutto: nato a Brno l'1 aprile 1929, figlio di un musicologo, comunista si iscrive al Partito nel '47, salvo essere espulso e riammesso più volte esordisce come poeta; il primo romanzo, Lo scherzo, esce nel 1967, immediatamente tradotto da Gallimard, con la prefazione di Louis Aragon. È l'inizio di una carriera letteraria formidabile e del precipizio politico. Cacciato dal partito nel '70, gli è interdetto l'insegnamento; i premi il Médicis nel 1973 per La vita è altrove consolidano la sua fama. Perfino Philip Roth, atterrato allo Yalta Hotel di Praga con il pretesto di studiare Franz Kafka, trescò per aiutare Kundera contro «la spietata macchina traumatica del totalitarismo»: fece pubblicare da Penguin, nel '74, Amori ridicoli, in una collana da lui ideata, «Scrittori dell'altra Europa». L'anno dopo, Kundera e la moglie riescono a trasferirsi in Francia, grazie a un permesso di Stato temporaneo. Lo scrittore non si muoverà più da lì, scrivendo, dal 1995, da La lentezza, direttamente in francese, rarissimo caso di scrittore «ambidestro», capace di dominare più lingue. Documenti attestano che sarà spiato per molto tempo dalla polizia segreta cecoslovacca, la StB. Altri documenti, però tornati in auge nel 2020 con la pubblicazione dell'immane biografia di Jan Novák raccontano una storia diversa. Secondo il biografo, la leggendaria reticenza di Kundera nasconderebbe una tattica: celare la gioventù stalinista. «Nei primi anni '50 Kundera era un poeta stalinista. Era un potente funzionario letterario. Lasciò la Cecoslovacchia con la benedizione del Governo». Eppure, il documento rivelato dalla rivista Respekt nel 2008, che testimonierebbe la delazione di Kundera ai danni di un disertore, Miroslav Dvoáek, condannato a 22 anni di gabbia, era il 1950, sarebbe un falso, il lascito di una guerra fredda culturale sempre in corso.

A Parigi dal 1978, francesizzato, Milan Kundera diventerà una superstar della letteratura mondiale. Edito nel 1984, L'insostenibile leggerezza dell'essere da cui il film, paludato, con Daniel Day-Lewis e Juliette Binoche ha avuto il pregio, tra l'altro, di salvare l'Adelphi da un quasi fallimento. Intervista da Olga Carlisle per il New York Times 19 maggio 1985 Kundera lanciò i suoi strali contro «l'impero totalitario», dicendo, in sostanza, che Dio è meglio di Mao: «Non sono mai stato credente, ma dopo aver visto i cechi cattolici perseguitati durante il terrore staliniano ho provato profonda solidarietà verso di loro. Una solidarietà da impiccati».

Nel 2011 l'opera di Kundera, rarissimo privilegio per un vivente, è accolta nella «Bibliothèque de la Pléiade». Più che Italo Calvino o gli adelphiani vari, in Italia è stato Cesare Cavalleri l'esegeta máximo di Milan Kundera. A suo dire, Kundera «ci ha insegnato che non si può ridere sempre perché, malgrado tutto, la vita è tremendamente seria e dopo la sospensione estatica della risata o del romanzo non realista, alternativo alla vita bisogna ricominciare a vivere... e anche a diffidare del ridere» (17 aprile 1994, Avvenire).

Autore di romanzi spesso funambolici da L'immortalità a L'ignoranza, da Il valzer degli addii a Il libro del riso e dell'oblio anche noi io, a debita distanza di grazia, crediamo, come Cavalleri, che «uno dei più bei testi dell'autore» sia I testamenti traditi (1992). In quel libro, Kundera si scaglia contro la pretesa, pretestuosa, della buona morale in letteratura «Da sempre, detesto profondamente, violentemente quelli che in un'opera d'arte vogliono trovare una posizione (politica, filosofica, religiosa ecc...), invece di cercarvi una intenzione di conoscere» e contro «il conformismo dell'opinione pubblica» che, ad esempio, non riesce a capire Céline, i cui romanzi, lungi dall'esprimere l'orrenda banalità dell'antisemitismo, riescono a «riscattare l'orrore transustanziandolo in saggezza esistenziale». Soprattutto, in quel libro Milan Kundera si erge a campione del «romanzo europeo», inserendosi in un lignaggio che va da Cervantes a Goethe, passa per Kafka e Musil: «Se l'Europa fosse una nazione unica, non credo che la storia del suo romanzo avrebbe potuto protrarsi per quattro secoli con tanta vitalità, tanta forza e tanta varietà». Detto tutto.

Con Milan Kundera muore l'ultimo romanziere autenticamente «europeo».

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