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La febbre dell'avocado, l'oro verde macchiato di crimini

L’immagine glamour dell’avocado nasconde dei lati oscuri. Vi raccontiamo quali

La febbre dell'avocado, l'oro verde macchiato di crimini

Anche quest’anno il 14 febbraio si è tenuto l’evento sportivo più famoso d’America e come da copione, secondo l’APEAM (Associazione messicana di produttori ed esportatori di avocado) la domanda del celeberrimo super food denominato “oro verde” è aumentata vertiginosamente.

É lui il vero vincitore del Super Bowl per i risultati stratosferici che segna.

E per i numeri che gonfiano le fila di nuovi fan accanto a quelli più storici tra salutisti, vegani, vegetariani, millenials, star di Hollywood (come la cantautrice Miley Cyrus che se ne tatuò uno sul braccio).

Per far fronte alla eccezionale richiesta, che d’inverno non può essere supportata dalla produzione californiana, l'avocado è arrivato direttamente dal Messico.

Ogni sei minuti un bisonte della strada stipato di oro verde ha passato la frontiera diretto negli Stati Uniti.

Più di 350 milioni di dollari spesi e ben 140 mila tonnellate trasportate.

200 milioni di avocado che si sono convertiti in un verde oceano di salsa guacamole costellata da chips ed innaffiata da fiumi di birra.

Il tutto consumato smodatamente in zuppiere extra large nel salotto di casa davanti alla tv.

Ma le vie dell’avocado sono infinite e oltre il guacamole c’è di più.

Grigliato nel toast integrale, a cubetti su una tartare di gamberi crudi, a fette nell’insalata, liquefatto per farne un succo green, ammorbidito e spalmato sul volto a mo’ di maschera antiossidante o ridotto in poltiglia come un balsamo idratante in posa su aspiranti morbide chiome, degli abbinamenti e delle proprietà dell’avocado e del suo seme (commestibile alla stregua del frutto) si è raccontato proprio tutto. O quasi.

Perché esiste un lato meno fotografato che intacca l’immagine glamour di questa celebrità, dai quasi 13 milioni di hashtag su Instagram, a riprova che non è tutto oro (verde) quello che luccica.

E il suo aspetto dark ha a che fare con il giro d’affari miliardario che il suo commercio genera.

Dalla Nuova Zelanda al Messico, fino al Kenya e al Portogallo, i produttori di avocado sono diventati il bersaglio di reti criminali organizzate il cui mirino è puntato sulle fattorie e il loro raccolto prezioso.

Ad avere la peggio è lo stato del Michoacán, dove si concentra il grosso della produzione messicana (che rappresenta un terzo di quella mondiale) stretto nella morsa della malavita locale. E i numeri da capogiro spiegano il perché .

Qui, in 15 anni, la produzione di avocado ha avuto un incremento vertiginoso del 572 % passando dalle 200 mila tonnellate del 2005 al milione e 145 mila tonnellate del 2020, con un aumento esponenziale di ettari coltivati ( spesso non autorizzato).

E le esportazioni che si attestano intorno ai 3,23 milioni di dollari, nemmeno durante la pandemia hanno subito un calo secondo la APEAM.

Nel cattolico Messico, “la mantequilla de Dios”, il burro di Dio come lo chiamano (per il suo alto valore nutrizionale) è diventato il frutto proibito conteso da 5 cartelli del narcotraffico.

Che hanno trasformato la regione in un far west: le estorsioni a danno dei proprietari e dei commercianti, con richieste di “tasse” per ogni ettaro coltivato (dai 150 dollari secondo un articolo del 26 giungo del 2021 apparso sul Pais fino a 1.500 secondo altre fonti) e ogni chilo venduto, sono all’ordine del giorno.

Le minacce di morte, le esecuzioni, i sequestri, gli incendi appiccati contro chi si mette di traverso sono la regola.

A cui si sommano lotte intestine per il dominio tra i diversi clan.

Per domare il caos gli abitanti hanno deciso di farsi giustizia da soli, attraverso la creazione della polizia dell'avocado

composta da 3000 civili impiegati nella filiera dell’oro verde che si chismano i "Pueblos Unidos”.

Nel resto del mondo la situazione è meno cruenta ma la febbre per l’oro verde sta salendo globalmente.

Anche in Kenya, dove la coltura è più recente, si comincia ad assistere ad atti di violenza.

Estirpate le piante di the e caffè meno redditizie per fare spazio a quelle di avocado, proteggere il raccolto è diventata la priorità.

E il filo spinato si è rivelato insufficiente.

Al calar del sole la presenza di guardie armate di mazze e machete che presidino e illuminino ogni cespuglio dei campi con potenti torce si è resa indispensabile.

Da affiancare a telecamere e i droni, secondo progetti futuri, per stanare i ladri notturni.

Se dormiamo, i nostri padri non vedranno un centesimo”, afferma un produttore di avocado In Kenya.

Che aggiunge:“É un lavoro pericoloso, la gente si può fare male e può perfino essere uccisa, o noi o loro, sfortunatamente dobbiamo proteggerci”.

L’affare è così proficuo che il raccolto di un albero di avocado può pagare la retta (pari a 600 dollari) di un anno di studi nella scuola secondaria.

Lo chef stellato Mc Mahon dal suo ristorante irlandese ha definito gli avocado“i diamanti insanguinati del Messico” e ha fatto sapere che non li usa “ per l’impatto che hanno sui paesi da dove provengono, violenza in Messico e deforestazione in Cile”. Altri l’hanno seguito.

Ma non tutti la pensano così.

E, sebbene il frutto verde per molti non si possa definire sostenibile nemmeno se a km zero, a causa dello sfruttamento della mano d’opera e della necessità di ingenti risorse idriche per irrigare una pianta che fa della deforestazione la sua espansione, le proiezioni economiche prevedono una domanda in forte crescita.

Entro il 2030 le vendite di avocado saranno seconde solo alla banana e l’Italia, in parcicolare in Sicilia, si sta preparando anche per un mercato interno che rispetto al resto d’Europa è ancora tutto da conquistare.

E poi c’è la Cina. “Se potessi mettere 4 pezzi di avocado nella scodella della zuppa di noodle di ogni cinese, non basterebbero tutti gli avocados del mondo” dichiarò al New York Times nel 2018 l’imprenditore americano Steve Barnard che dalla sua azienda di imballaggi di avocado nella tierra caliente del Michoacan confessava mire espansionistiche.

E il consumatore come dovrebbe porsi in rapporto al controverso frutto verde?

Secondo Adriana Villacana, professoressa all’Univa, Università cattolica di Urapan, boicottarlo non rappresenterebbe la soluzione: significherebbe far collassare l’industria causando una perdita di almeno 15.000 posti di lavoro nella regione e ingrossare le fila della criminalità o aprire la via ad un’ondata migratoria.

D’altro canto la smania per l’oro verde andrebbe tenuta sotto controllo. Perché l’avocado può nuocere alla salute delle mani.

Ne sanno qualcosa i pronto soccorso americani che con il termine “avocado hand” classificano una patologia che fa registrare in un anno fino a 8,900 ferite da taglio occorse nel maneggiare scorrettamente il frutto.

Per molti invece contenere i consumi è la risposta all’impennata del prezzo dell’oro verde che ha abbondantemente superato i due euro al pezzo.

A proposito, attenti al falso guacamole.

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