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L'inutile vittoria di Padoan. Non potremo sforare i conti

Il ministro dell'Economia in Europa esulta per la flessibilità sui vincoli al deficit ma resta inviolabile il tetto del 3%

L'inutile vittoria di Padoan. Non potremo sforare i conti

S i fa presto a dire «che sarà applicata la flessibilità già prevista dal Patto di stabilità». Lo ha fatto, a mo' di rassicurazione, il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan; lo ribadiscono quotidianamente i vertici delle istituzioni europee, con un tono che assomiglia invece a una minaccia. Ieri è stato il turno del presidente designato della Commissione Jean Claude Juncker che, alla ricerca di un compromesso (in vista del voto del Parlamento sulla sua carica) ha auspicato una applicazione del Patto che tenga conto del «buon senso», ma senza fare aumentare il deficit.

Una cosa è certa: se sarà veramente applicato il Patto così come è, sia pure nella versione «soft» auspicata ieri dal candidato del Ppe al vertice della Commissione, per il governo di Matteo Renzi non sarà facile fare scelte autonome di politica economica. Un assaggio il premier l'ha avuto martedì a Venezia quando ha proposto di scorporare gli investimenti nel digitale dal deficit e ha incassato subito un no dal commissario all'Economia Sim Kallas.
La flessibilità di cui si parla, in termini concreti corrisponde a margini di manovra minimi. Pochi soldi oltre al fatto che, a decidere come spenderli saranno le istituzioni europee (la Commissione, cioè l'esecutivo europeo, e il Consiglio europeo, l'organismo che riunisce i governi nazionali) su una strada che è già stata tracciata. Renzi e Padoan, insomma, si potranno muovere più o meno entro i margini che hanno limitato l'azione dei predecessori, soprattutto il governo Letta.
In sintesi: non si potrà sforare il limite del deficit previsti dal Patto. Quello vecchio stile del 3% nel rapporto del deficit Pil e, ancora di più, quello nuovo che si basa sul deficit strutturale (un calcolo complesso che dovrebbe depurare dal disavanzo gli effetti del ciclo economico). Si potrà, al massimo, arrivare a ridosso dei limiti europei, un po' come era stato fatto per i debiti della pubblica amministrazione nel 2013, quando da un deficit del 2,4% ci fu concesso di arrivare al 2,9%.

Ancora una volta se la passeranno meglio i Paesi che sono già oltre il 3% come Francia e Spagna che hanno avuto, e con tutta probabilità avranno ancora, il privilegio di restare oltre la soglia rinviando il rientro entro i limiti Ue. Con libertà di spesa maggiori rispetto a noi che abbiamo fatto i compiti a casa.
L'unica cosa da trattare, al momento, è come usare le eventuali risorse. La trattativa andrà fatta con la Commissione europea. E questo è un vantaggio perché agli Affari economici si sta facendo strada la candidatura di un socialista francese, Pierre Moscovici, quindi un politico teoricamente più incline allo sviluppo. All'Italia sarebbe riservato un posto al vertice del gabinetto del commissario - questi i boatos di Bruxelles - posizione dalla quale potremo almeno capire che aria tira.
Il problema è che il canovaccio è già stato scritto nei mesi scorsi con le raccomandazioni del Consiglio europeo all'Italia. I margini di spesa andranno indirizzati a finanziare misure già note come la Garanzia giovani, partito circa due mesi fa e per il quale abbiamo già ottenuto 1,5 miliardi. Politiche attive di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro dalla dubbia efficacia, applicate a un Paese dove il problema è semmai quello di creare ricchezza. La scelta potrà essere tra le raccomandazioni che il Consiglio ha rivolto a Roma in giugno. In pratica cofinanziamenti di piani di investimenti produttivi decisi a livello comunitario. Se Renzi vorrà fare politiche di sviluppo abbassando le tasse, ad esempio, si sconterà contro il muro degli stessi «no» che hanno bloccato i suoi predecessori.

Lo scambio con le riforme riguarda invece la partita del debito. Se le faremo, l'Europa potrebbe essere meno severa sull'applicazione del rientro di un ventesimo all'anno. Abbastanza facile da ottenere. Mentre dovremo faticare per farci confermare il rinvio del pareggio di bilancio al 2016 che era stato dato per scontato.

A conti fatti, nonostante Renzi, la strada per l'Italia è sempre più in salita.

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