Cronache

L'Italia, un Paese di aspiranti nobili

Voglia di sangue blu, un fenomeno tragicomico

L'Italia, un Paese di aspiranti nobili

«Tesoro, hai invitato i Debenedetti?».
«No amore, ho chiamato i De Benedetti. Sai, loro sono nobili...».

Il suddetto scambio di battute, intercettato in casa de' Truzzis, serve a farci capire meglio un tragicomico fenomeno sempre più diffuso: il fascino indiscreto della borghesia, anzi della nobiltà. Nobiltà che, già quando è vera, fa un po' ridere; figuriamoci quando è tarocca. Fatto sta che l'Italia, oltre ad essere un Paese di santi, navigatori e ct della nazionale, è pure una nazione di aspiranti conti, duchi e marchesi. Circa 20 mila persone all’anno si sbattono come pazzi alla disperata ricerca di una trasfusione di sangue (blu). Ma visto che la nobiltà è come lo classe (insomma, non è acqua), gran parte di questi tentativi è destinata a, miseramente, a fallire. Allora, ecco le scorciatoie. A cominciare dall’impervio tratturo del «De» o, ancora meglio, del «de’». Con effetti che possono risultare abbastanza originali, come nel caso del senatore Franco Debenedetti, fratello del super editore Carlo che però, anagrafe, da De Benedetti. Su Wikipedia si parla cripticamente di un «errore da parte dell’ufficiale di anagrafe», ma voci maligne attribuiscono lo staccamento del «De» alla voglia dell’ingegner Carlo di darsi un tono - diciamo così - araldico. Una debolezza, una piccola vanità, che De Benedetti condivide con migliaia di connazionali, molti dei quali - pur vantare uno straccio di titolo - si dichiarano senza vergogna discendenti di quei «nobili della scaletta» che il 13 giugno 1946 re Umberto II di Savoia pare abbia nominato sulla scaletta dell’aeroplano pochi attimi prima di «esiliarsi» in Portogallo.

Gli aspiranti nobili che invece non riescono neppure ad attaccarsi alla regia «scaletta», possono sempre optare sul doppio cognome (il paterno e il materno): non serve a nulla ma fa molta scena. Dando così ragione all’incorruttibile pizzardone Otello Celletti (Alberto Sordi) che, nel film «Il vigile», ospite in una festa di gran signori, dice al padrone di casa: «Io credo che, sotto sotto, siamo tutti un po’ nobili...». E in Italia a pensarla come il vigile Celletti sono in tanti. Non si spiegherebbe altrimenti l’irresistibile corsa alle «palle» blasonate, divenuto ormai una vera frenesia. Ogni anno un esercito di italiani si affida infatti a fantomatici «istituti di ricerca genealogica» con la segreta speranza di trovare un avo - se non principesco - almeno marchesino.

Roba ottima per aggiungere sul citofono un gentilizio «stemma di famiglia» e magari rispondere «dica...» al postino che ti domanda «duca?». Sì, insomma, come nella gag del film «Toto, lascia o raddoppia?», dove il «duca Gagliardo della Forcoletta dei Prati di Castel Rotondo» sbarca il lunario vendendo false informazioni su presunti cavalli vincenti a inesperti scommettitori.

Ma nel caso di Totò, la curiosità è che il grande comico napoletano era realmente assillato da questa sete di nobiltà. Tanto da spendere un’ingente fetta del suo patrimonio in studi genealogici e araldici che - dopo anni di «approfondimenti» condotti da presunti «esperti» pagati a peso d’oro - finì con l’ottenere la legittimità dell’utilizzo dei seguenti titoli: «Principe», «Conte Palatino», «Nobile» e, addirittura «Altezza Imperiale»; anche il suo nome si allungò in maniera inversamente proporzionale allo stringatissimo Totò: Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio Gagliardi.
«La maggior parte di chi avvia ricerche araldiche - si accontenterebbe di molto meno - sottolinenano all’Istituto araldico genealogico italiano (Iagi), l’unico organismo veramente serio che in questo settore rappresenta l’Italia anche a livello internazionale -. La verità è che in questo settore c’è troppa gente che opera senza avere nessun tipo di credenziali di carattere scientifico o accademico».

Si spiega anche così l’escalation di truffe e denunce da parte di chi, dopo aver sborsato fior di quattrini, ha scoperto che la «pergamena nobiliare» rilasciata in pompa magna era in realtà solo un inutile pezzo di carta, frutto solo di un volgare magna magna. Peccato che i tanti scandali non scoraggino l’esercito degli aspiranti nobili che raccoglie fan in fasce socialmente trasversali.

«C’è il piccolo borghese - spiega il professor Franco Pascarelli, docente di Storia Medioevale -, ma c’è anche un’utenza più elevata che sogna di fare un ulteriore “scatto“ a livello di prestigio e considerazione pubblica. E non si pensi necessariamente a persone frustrate o non realizzate. Quasi sempre è l’esatto opposto: si tratta di professionisti realizzati nella vita familiare e lavorativa. Ma che risente terribilmente del fascino della nobiltà. A tale proposito è sintomatico che anche star di hollywood del calibro di Einstein, Charlie Chaplin, Humphrey Bogart, Kirk Gable, Anthony Quinn abbiano avuto la fissa per la ricerca di un improbabile blasone che li potesse far diventare soci dell’ esclusivo club del sangue blu».

E chi non può disporre di grandi somme? Può sempre ripiegare su quei banchetti presenti nelle feste patronali che, in cambio di pochi euro, ti stampano un «attestato» col tuo cognome, «garantendo» che la tua famiglia è imparentata alla larga - ma molto alla larga - con quella dei Windsor.

Patacche, certo. Ma la «sindrome di Lord Brummell» è dura a morire come dimostrano i tanti appelli su internet che chiedono disperatamente: «Come si fa ad avere una ricerca genealogico-araldica, possibilmente gratis?».

Significativa la risposta di un nobile (decaduto?) che però vuol rimanere, poco nobilmente, anonimo: "Nessuno fa niente per niente. Per risalire ai tuoi ipotetici avi dal sangue blu le fonti che si hanno a disposizione sono esclusivamente cartacee, ad eccezione di quelle riguardanti i tuoi ascendenti più recenti (non più di tuo nonno), ma che non sono certo alla mercé di pseudo ricercatori come quelli che trovi su internet».

E poi: «I siti che ti chiedono il cognome e promettono di fornirti informazioni sulla storia della tua famiglia e magari ti fanno pure scoprire di essere nobile sono tutti delle truffe. Dal primo all'ultimo, specie quelli stranieri. Il fatto che abbia un certo cognome non significa assolutamente che discenda da famiglie importanti con lo stesso cognome».

Come dire che c’è il conte Nuvoletti; ma pure Giovanni Nuvoletti, professione: contadino.  

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