Lite finita in omicidio, si costituisce il killer

A scatenare la tragedia un diverbio tra donne e un debito di 4mila euro che la vittima doveva pagare per la fornitura di cocaina

Ha vagato tra San Siro e Quarto Oggiaro per tutta la notte, nascosto, braccato, impaurito per aver fatto qualcosa di molto più grande di lui. Poi, nel pomeriggio, ha chiamato il suo avvocato, Gaetano Rizza, lo ha raggiunto in studio in tarda sera e con lui si è presentato al carcere di Opera per costituirsi.
Si chiude così nel giro di 24 ore la tragica storia di via Jacopino da Tradate, dove un giovane di 22 anni, Roberto Scordamaglia, ha ucciso con un proiettile alla testa Emiliano Benedit, 27 anni, piccolo e violento spacciatore di droga. Il ragazzo, infatti, è morto nel corso della notte e alcuni suoi organi sono stati subito espiantati. Scordamaglia, nella sua ricostruzione, ha ammesso di aver sparato, ma solo per difendere l’amico «Manina», aggredito da Benedit che, a questo punto, si sarebbe rivoltato contro di lui. Rimproverandogli tra l’altro un vecchio debito di 4mila euro per le dosi di cocaina cedute a credito.
Tutto nasce comunque per un vecchia ruggine tra la ragazza di «Manina», così chiamato perché un incidente stradale gli ha pregiudicato l’uso della mano, e quella di Benedit, uno con alle spalle arresti e denunce per stupefacenti e reati contro il patrimonio. Quest’ultimo decide di far valere il suo ruolo di piccolo boss del quartiere e affronta il rivale. Martedì sera, verso le 23, parte a bordo del furgone della ditta per cui lavora e va a prendere al bar Davide T., amico e coetaneo. Insieme raggiungono «Manina» e Scordamaglia. Il ventiduenne ha qualche condanna alle spalle e ha appena «scontato» un anno ai domiciliari, sempre per droga e reati contro il patrimonio.
Inizia la discussione che ben presto degenera in rissa. Qui le versioni si fanno contrastanti. Davide T., che sarà poi incriminato per false deposizioni rese al pm, fornisce due diverse ricostruzioni attribuendo comunque ai «nemici» il ricorso alla forza. Lui, anzi, viene tirato in ballo solo per dar man forte a Benedit, che sta soccombendo. Secondo lo sparatore, invece, sono loro ad aggredire «Manina» e lui avrebbe solo cercato di calmarli. Venendo però a sua volta aggredito con una scarica di pugni. Quindi nuove minacce e richieste di saldare il debito. Debito per il quale, sostiene sempre Scordamaglia, sarebbe già stato picchiato dagli amici dello sparatore. A questo punto il giovane si allontana e va a recuperare una vecchia pistola calibro 7.65 nascosta in un cortile. Da chi? Su questo punto rimane un po’ vago. «L’ho vista nascondere da qualcuno» dice. Ma tutto sommato è un particolare insignificante.
Scordamagalia dunque ritorna armato. «Inseguendo e sparando più volte contro il mio amico», riferisce Davide T. che puntualizza come l’ultimo colpo, quello mortale, sia stato esploso a bruciapelo. «Ho tirato due volte il grilletto, da una distanza di 10/15 metri e verso la macchina dietro la quale si era nascosto Emiliano e solo per spaventare lui e Davide e farli fuggire», spiegherà l’assassino al magistrato. Quando si rende conto di aver invece colpito alla testa l’avversario, prende su un ciclomotore e scappa. Butta la pistola in una area verde dalle parti di Quarto Oggiaro, dove verrà ritrovata dai carabinieri, e rimane nascosto tutta la notte vagando per il quartiere.
Mercoledì, a metà pomeriggio, chiama l’avvocato Rizza che l’aveva già difeso in un vecchio processo.

Verso le 22 si presenta in studio e insieme vanno al carcere di Opera. Dove arrivano verso mezzanotte. Quasi nello stesso momento i medici di Niguarda stabilivano il decesso di Benedit e iniziavano le procedure per l’espianto degli organi.

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