Politica

Lodo Alfano, fumata nera alla Consulta La sentenza dei giudici attesa per oggi

La Consulta ha deciso di non ammettere in udienza il legale della Procura di Milano che chiede la bocciatura del Lodo Alfano. Ghedini: "L'applicazione della legge non è uguale per tutti, il lodo non è un'immunità". La camera di consiglio riprende stamattina. I tre scenari possibili

Lodo Alfano, fumata nera alla Consulta 
La sentenza dei giudici attesa per oggi

Roma - Fumata nera della Consulta. Nessun verdetto ieri sulla legittimità del lodo Alfano: la camera di consiglio della Corte Costituzionale è stata sospesa intorno alle 19. I quindici giudici hanno aggiornato a stamani la seduta segreta che si tiene nella saletta pompeiana al secondo piano di palazzo della Consulta. I giudici avevano terminato poco dopo le 17 le udienze previste per oggi e si erano riuniti in camera di consiglio per decidere sulle cause, la prima delle quali è la questione di legittimità del lodo Alfano.

L'udienza L’udienza pubblica sul lodo si è tenuta ieri mattina alla presenza di tutti e 15 i giudici della Consulta, i tre avvocati del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e dell’avvocato dello Stato per conto della Presidenza del Consiglio. All’udienza del pomeriggio sulle ultime cause, che ha preceduto la camera di consiglio, erano presenti 13 giudici su 15. Assenti Franco Gallo, relatore della causa sul lodo Alfano e il giudice Paolo Grossi. Una decisione potrebbe arrivare oggi, oppure, se così non sarà, rischia di slittare alla settimana che inizia il 19 ottobre.

Il via ai lavori Dopo aver dichiarato aperta l'udienza, il presidente della Corte, Francesco Amirante, ha passato la parola al giudice relatore, Franco Gallo, per riassumere i motivi dei tre ricorsi contro il lodo Alfano. L’udienza è stata poi sospesa per permettere ai giudici di decidere se ammettere l’intervento della procura di Milano. Secondo i precedenti della Corte, la procura non sarebbe titolata ad intervenire in giudizio come parte. Ma il professor Alessandro Pace, presidente dei costituzionalisti italiani, a nome della procura milanese ha chiesto alla Corte l’ammissibilità dell’intervento per argomentare, in udienza pubblica, i motivi per cui il lodo Alfano sarebbe illegittimo. Pace ha preso la parola dopo che il giudice relatore Franco Gallo, per circa mezz’ora, ha riassunto i temi dei ricorsi presentati dai magistrati di Milano e di Roma contro la legge che sospende i processi nei confronti delle quattro più alte cariche dello Stato.

Non ammessi i pm di Milano La Corte costituzionale non ha ammesso l’intervento della procura di Milano. Il presidente della Consulta Francesco Amirante ha spiegato che "questa presenza per la giurisprudenza della Corte Costituzionale è inammissibile, non essendo prevista espressamente", ricordando altresì che "il legislatore ha ritenuto non irragionevolmente di distinguere il ruolo del pm da quello delle parti", anche considerando che "la parità tra accusa e difesa non comporta necessariamente la presenza del pubblico ministero". Il professor Alessandro Pace non potrà, dunque, intervenire nell’udienza pubblica: "C'è un po' di amarezza: come si fa a dire che la procura non è parte in un processo penale?".

L'arringa di Ghedini "La legge è uguale per tutti, ma non per forza lo è la sua applicazione, come già detto da questa Corte". È quanto ha sottolineato l’avvocato Nicolò Ghedini, nel corso della sua arringa di fronte ai giudici della Corte costituzionale. "Questa legge - ha aggiunto il legale del premier Berlusconi - va valutata ex se, ma anche in base alle norme sul legittimo impedimento. Per questo - ha concluso - credo che sia perfettamente aderente al dettato costituzionale", nonché "ai principi enunciati da questa Corte", nella pronuncia del 2004 con cui venne bocciato il Lodo Schifani. Ghedini ha ricordato che, come è avvenuto per il lodo Alfano, "il legislatore, anche se mai abbastanza in verità, è spesso intervenuto a modificare la legge su sollecitazione di questa stessa Corte". Il legale, poi, ha difeso la scelta della legge ordinaria per il lodo, che "nel caso concreto, è la scelta corretta per quanto riguarda la sospensione dei termini processuali sulla base di posizioni soggettive". A questo proposito ha ricordato che "la legge è uguale per tutti, ma non lo è la sua applicazione": esistono norme particolari, riservate ad esempio, a chi ha commesso reati rivestendo incarichi nella pubblica amministrazione o nelle Forze armate. Infine, ha respinto l’ipotesi di concedere il lodo solo per determinati reati. A suo avviso "qualsiasi differenziazione, per quanto riguarda la concessione o meno del legittimo impedimento a comparire, sarebbe, questa sì, incostituzionale, se prevista in base a tipologie di reato". Per Ghedini con il lodo è stata "realizzata la condivisibile finalità di questa legge".

L'arringa di Pecorella "Con le modifiche apportate alla legge elettorale, il presidente del Consiglio non può più essere considerato uguale agli altri parlamentari, ossia non è più primus inter pares, ma deve essere considerato primus super pares". Così l’avvocato Gaetano Pecorella ha difeso, davanti alla Consulta, la costituzionalità del lodo Alfano escludendo che la legge introduca elementi di disparità del trattamento e dei cittadini innanzi alla legge. Pecorella ha, quindi, aggiunto che bisogna prendere atto del fatto che "con la legislazione di oggi sulle elezioni delle cariche politiche, la posizione del presidente del Consiglio si è venuta staccando da quella che era stata disegnata dalle tradizioni liberali". Pecorella ha spiegato, nella sua arringa durata circa un quarto d’ora, che al premier oggi, a differenza del passato "sono espressamente riconosciute funzioni nei rapporti con il Parlamento europeo, sono la Commissione Ue e nei rapporti tra Stato-Regioni: il premier non è più primus inter pares come lo era nel 2004". "Oggi - ha proseguito Pecorella - le coalizioni depositano il programma elettorale indicando il nome del loro leader. Rimangono certamente salde le prerogative del presidente della Repubblica, ma il presidente del Consiglio è l’unico che riceve la sua legittimazione dalla volontà popolare". Questo elemento, per Pecorella, deve essere tenuto in considerazione dai giudici della Consulta in quanto esclude che il lodo Alfano produrrebbe una ingiustificata "disparità di trattamento".

L'arringa di Longo Secondo l’avvocato Piero Longo, il lodo Alfano "non è una immunità ma una legge che tutela il diritto di difesa dell’alta carica dello Stato che si trova ad essere imputata in un processo penale". Prendendo la parola dopo il collega Ghedini, Longo ha puntato l'attenzione sul fatto che il lodo Alfano ha accolto le indicazioni della precedente sentenza del 2004 con cui la Corte bocciò il precedente lodo Schifani: l’attuale legge, infatti, ha "come caratteristiche la temporaneità, la non reiterabilità, la rinunciabilità, la sospensione della prescrizione, la garanzia per le prove non rinviabili, la tutela delle parti civili". In particolare, la sospensione della prescrizione "esorcizza l’ipotesi falsificante secondo cui con la sospensione del processo si avrebbe lo stesso risultato di un immunità". Così no è, a detta dell’avvocato Longo. Anche perché la sospensione del processo è prevista nel codice penale nel caso di legittimo impedimento dell’imputato. Il lodo, dunque, "non è legato alla mera carica o alla funzione ma all’espletamento di una complessa attività da parte di un’alta carica". Difatti, ha aggiunto Longo, "nel difficile sistema geopolitico in cui viviamo", con i numerosi appuntamenti internazionali nell’agenda del premier, sarebbe per lui "impossibile" svolgere contemporaneamente il suo incarico e tutelare il diritto di difesa come imputato. Il rischio sarebbe quello di "dover trascurare gli impegni connessi alla carica costituzionale", tanto più se i processi sono "aggravati da centinaia o migliaia di atti e documenti". 

Avvocatura di Stato: "Nessun condizionamento" L’Avvocatura generale dello Stato non ha mai "tentato di condizionare questa Corte". L’avvocato Glauco Nori ha parlato di "ricostruzioni fantasiose" rispetto alla memoria da lui presentata, a nome della Presidenza del Consiglio, per difendere la legittimità del Lodo Alfano. In quella memoria, infatti, si parlava di possibili "danni irreparabili" per il premier, costretto a doversi difendere in processo, tanto da evocare il pericolo di dimissioni, come fu per il presidente Giovanni Leone ai tempi dello scandalo Lockheed. "Quando ho parlato di danni irreparabili - ha quindi spiegato Nori - c’è stato un equivoco, ci sono state ricostruzioni fantasiose. L’Avvocatura ha invece difeso una norma, prodotto legislativo del Parlamento, che lo Stato ha il dovere di tutelare". I "danni irreparabili" ai quali Nori si riferiva sono quelli che deriverebbero "se si trascurassero gli impegni di governo.

Penso, ad esempio, agli impegni del presidente del Consiglio all’estero, o alla partecipazione del premier a un Consiglio europeo".

Commenti