Cultura e Spettacoli

L'omelia è finita Santoro simbolo di una tv morta

Santoro provoca un rigetto. O muta registro o sarà eliminato dalla pressa. Campare di rendita non si può più

L'omelia è finita Santoro simbolo di una tv morta

Michele Santoro, veterano della tivù di battaglia, non ha rinnovato il contratto con La7 di Urbano Cairo e il suo Servizio pubblico è stato azzerato. Fine della trasmissione che lo ha reso famoso e probabilmente anche ricco. Almeno glielo auguro. I lettori obietteranno che il conduttore non deve la propria popolarità all'ultimo programma, quello scaduto, ma a una lunga attività in video il cui inizio risale agli anni Ottanta. Vero. Ma è altrettanto vero che da sei lustri egli manda in onda sempre lo stesso format, la stessa zuppa, cui si è limitato di tanto in tanto a cambiare titolo. Così, solo per rinfrescarlo e dargli un tocco di modernità.

A parte due brevi pause, a Mediaset e al Parlamento europeo, egli ha ininterrottamente prestato la sua opera alla Rai. Solo negli ultimi tempi, dopo aver riscosso una congrua liquidazione dall'ex monopolio, si era messo in proprio trovando ospitalità a La7, dove peraltro fino a pochi mesi fa aveva ottenuto buoni ascolti, ma non più eccezionali come in passato. D'altronde, il successo non è eterno. Nella vita professionale di chiunque arriva un momento in cui si perdono colpi. Santoro, se paragonato ad altri colleghi (escludendo Bruno Vespa, praticamente immortale), è durato addirittura troppo.

C'è stato un periodo interminabile in cui ogni settimana si attendevano le sue performance con interesse: i giornalisti erano costretti a seguire le prediche santoriane, nonché gli interventi degli ospiti, che puntualmente provocavano polemiche e talvolta scandalo. Onore al merito. Se un conduttore tiene banco decenni e diventa un caso mediatico, è indiscutibile: significa che vale. Non abbiamo difficoltà a scriverlo. Non siamo di quelli che giudicano uomini e donne in relazione alle loro simpatie politiche, anche se ci danno sui nervi coloro che hanno negli occhi un solo colore, di norma il rosso.

Ora però occorre domandarsi perché Michele si sia spompato all'improvviso, quantomeno non riesca più a confezionare un prodotto appetibile e a stare sul mercato con piena soddisfazione dell'editore. Egli è convinto che la flessione del suo gradimento dipenda dal fatto che i palinsesti sono sovraffollati di talk show. Ma ho il sospetto che questa sia una concausa e neppure determinante. Il problema è che i temi politici, le beghe dei partiti e i discorsi dei tribuni hanno logorato gli italiani che da quasi mezzo secolo, con passione calante e noia crescente, ascoltano le stesse parole vuote, per di più pronunciate dai medesimi personaggi inclini a ripetersi, a litigare creando in studio un clima da rissa.

Tutto ciò che per un ventennio e oltre è piaciuto agli utenti tivù, assetati di sangue, adesso li mette in fuga, stanchi come sono di assistere a un teatrino tedioso, privo di guizzi e infarcito di luoghi comuni. I sermoni di Santoro, spesso contorti, hanno colmato la misura. Quando egli attacca con l'omelia, suppongo che i telespettatori si precipitino in cucina in cerca di una bibita o in toilette per alleggerirsi.

Guardare Servizio pubblico comportava un salto a ritroso verso il secolo scorso, quando le dispute politiche erano elettrizzanti e i cittadini si illudevano che il Palazzo, diversamente gestito, sarebbe stato in grado di fornire soluzioni e non spettacoli deprimenti di ruberie e affini.

Non c'è nulla sul piccolo schermo che stimoli qualcosa di meglio della rabbia. Perfino le rottamazioni - una forma di razzismo nei confronti dei vecchi - danno la nausea. Santoro è il simbolo della tivù morta, provoca un rigetto. O muta registro o sarà eliminato dalla pressa.

Campare di rendita non si può più.

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