Arte

L'opera somma del Perugino, "il miglior maestro d'Italia"

Lo "Sposalizio della Vergine", che da due secoli è in Francia, a marzo tornerà "a casa" per una grande mostra a Perugia

L'opera somma del Perugino, "il miglior maestro d'Italia"

Caen, la cui esatta pronuncia per un non madrelingua francese risulta pressoché impossibile, è una ville délicieuse arenatasi a una dozzina di chilometri dalla Manica, fra le spiagge dello sbarco e il corso dell'Orne, dipartimento del Calvados, regione della Normandia. Ha mille anni di storia, dalla prima citazione in un documento che la menziona come borgo ducale, fino a oggi, città per buona parte universitaria che fa 120mila abitanti di cui 34mila studenti. Ed è celebre fuori di Francia, di fatto, per tre cose.

La terza è la battaglia di cui fu al centro nel mese successivo alla sbarco degli Alleati, giugno 1944, quando per tre quarti fu rasa al suolo. La seconda, perché qui visse ed è sepolto Guglielmo il Conquistatore, duca di Normandia, che la dotò di un castello e due abbazie, l'Abbaye aux Hommes e l'Abbaye aux Dames. E la prima - per fare dello sciovinismo a casa degli sciovinisti - è lo Sposalizio della Vergine del Perugino, conservato qui, al Musée des Beaux-Art, a 1500 chilometri di distanza da Perugia, a mezzo secolo da quando fu dipinto, duecento anni da quando Napoleone se lo portò via dall'Italie e a cinquecento anni - ricorrenza tonda tonda - dalla morte di Pietro di Cristoforo Vannucci (1450 circa - 1523), noto come Pietro Perugino, o più semplicemente «il Perugino». Ma anche, definizione squisita, «Il meglio maestro d'Italia», come lo chiama in una lettera datata 7 novembre 1500 il banchiere Agostino Chigi, uno dei più grandi mecenati del suo tempo, rispondendo al padre, Mariano Chigi, che gli chiedeva chi fosse il miglior pittore vivente...

E Il meglio maestro d'Italia. Perugino nel suo tempo è il titolo della grande mostra, curata da Marco Pierini e Veruska Picchiarelli, che dal 4 marzo all'11 giugno porterà a Perugia, alla Galleria nazionale dell'Umbria, tutti i maggiori capolavori dell'artista, oltre settanta opere realizzate fra il 1470 e il 1504, provenienti dall'Italia - dagli Uffizi in giù - e dall'estero: la National Gallery di Washington, il Louvre di Parigi, la Gemäldegalerie di Berlino e, appunto, il Musée des Beaux-Arts di Caen.

Ed eccoci qui. Lo Sposalizio della Vergine del Perugino, un grande olio su tavola, 234 centimetri per 186, è nel primo salone del museo di Caen - è l'opera emblematica della collezione - assieme a un Trittico di Cima da Conegliano e a un San Giacomo di Cosme Tura. E la prima domanda del visitatore italiano ovviamente è: come è arrivato quaggiù, in fondo alla Normandia? La risposta è lunga, e in qualche modo spiega il beau geste dell'«assessore» alla Cultura e al patrimonio di Caen, Patrick Nicolle: «È giusto che l'opera torni in Italia tutte le volte che c'è un'occasione importante». Finora vi è tornata due volte (di cui una nel 2016, alla Pinacoteca di Brera, a Milano, per essere affiancato al corrispettivo Sposalizio del più giovane Raffaello). E Perugia la aspetta come un figlio che se n'è andato lontano.

Lo Sposalizio della Vergine, completato nel 1504 e che in origine fu dipinto per la Cappella del Santo Anello nel Duomo di Perugia, partì dalla città nel febbraio 1797, confiscato durante le spoliazioni napoleoniche. Un lungo viaggio di 15 mesi, prima su un carro trainato da buoi fino a Livorno, protetto solo da coperte, poi in nave, e infine lungo i fiumi e i canali di Francia. Arrivò a Parigi l'anno successivo, entrò nella collezione del Musée Napoléon, fu esposto al Louvre, poi - forse perché opera ritenuta di minore importanza - «smistato» in un museo di provincia, a Caen.

Era il 1804 e rimase per qualche tempo nella chiesa di Notre-Dame, in attesa di essere collocato nel nuovo museo cittadino. Attenzione: a causa degli spostamenti e della difficoltà a rintracciare i percorsi delle opere «decentrate» dal governo francese, Antonio Canova non riuscirà a localizzarlo dopo il Congresso di Vienna e di fatto l'Italia ne perse le tracce, fino a quando potè individuarne la collocazione, nel 1840. Da allora Perugia ha richiesto più volte la restituzione, ma ogni tentativo di riaverlo è fallito.

Qui rimase e qui è: come ricorda la direttirce del Musée des Beaux-Arts , Emmanuelle Delapierre, durante la Seconda guerra mondiale lo Sposalizio fu trasferito nel castello di Baillou, e ciò evitò che andasse distrutto nei bombardamenti che colpirono Caen nel '44 (quando scomparvero fra le fiamme oltre cinquecento tele di grande formato, sopratutto del XIX secolo, insieme a disegni, sculture, archivi...). Tornò a Caen nel 1954 e poi restò in un'abbazia fino all'apertura dell'attuale museo, dentro il castello della città, nel 1970. In quel momento la tavola non era in buone condizioni, aveva subito più di un intervento di pulitura, di cui uno terribile nell'800, fino all'ultimo grande restauro del 1992, che ce lo ha consegnato perfetto.

Perfetto per chiudere il percorso della mostra di Perugia della prossima primavera, lo Sposalizio della Vergine - che qui a Caen sarà temporaneamente sostituito da una Pietà di Piero di Cosimo «scambiata» dalla Galleria nazionale dell'Umbria - è un'opera immensa, tra i punti più alti della creatività di Perugino. «È dipinto su otto assi orizzontali, molto più rognose da affrontare rispetto a quelle verticali perché, a causa delle tensioni che si scaricano verso il basso, quelle inferiori rischiano di deformarsi», spiega Veruska Picchiarelli, co-curatrice della mostra. «Eppure lo Sposalizio rappresenta una sintesi perfetta di quanto di migliore e più innovativo vi è stato nell'arte del Perugino. Uno dei migliori coloristi della storia dell'arte». Un capolavoro assoluto che segna l'apice degli anni d'oro del pittore di fronte al quale la critica moderna dovrebbe rinunciare ad alcuni pregiudizi per ritrovare l'essenza della sua arte. Sulla fortuna della quale, più di tutti, influì il giudizio «morale» sulla persona - «uomo di assai poca religione» - lasciatoci dal Vasari.

La grande mostra che si sta preparando alla Galleria nazionale dell'Umbria di Perugia, che si avvale peraltro di un Comitato scientifico imponente, servirà proprio a farci conoscere non un «nuovo» Perugino, ma il «primo», il maestro riconosciuto del suo tempo, il pittore che sapeva adeguarsi a committenti e «mode» pur non tradendo mai sé stesso (le sue botteghe lavoravano a ritmi industriali), il padre nobile del «classicismo» che in pittura riuscì a imporre la propria lingua, primo caso dopo Giotto, a tutta l'Italia. «Non solo dove va, da Roma a Firenze, fa scuola - assicura Veruska Picchiarelli - ma riesce ad arrivare anche dove non è mai stato».

Persino qui, Bassa Normandia, in cima alla Francia, a Caen.

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