Cultura e Spettacoli

L'oppio di Aron, che stordì gli intellettual-chic

Per un liberale si tratta di un capolavoro

L'oppio di Aron, che stordì gli intellettual-chic

Quando un intellettualone vi dice che ha appena ri-letto il tal libro, state certi che si tratta di un classico della letteratura. Insomma un classico si ri-legge sempre. Per un classico non c'è mai una prima volta. E lo stupore e i siluri dialettici che ci tirano raccontando quel libro non nascono dal fatto che per la prima volta si è entrati a contatto con un consolidato capolavoro, ma dalla circostanza che il suddetto capolavoro si sarebbe letto e approfondito per la seconda volta.

Palle. Quanti classici non abbiamo letto, magari perdendo tempo a stare dietro alla Ferrante. Vabbé, noi che più che intellettuali ci sentiamo golfisti, abbiamo il coraggio di confessare un peccato mortale. Solo grazie a questa rubrichetta e a chi ce l'ha affidata all'interno del Giornale , abbiamo per la prima volta letto ciò che non avremmo dovuto trascurare. Stiamo parlando de L'oppio degli intellettuali di Raymond Aron (1905-83). Per un liberale si tratta di un capolavoro. Con l'aggravante, per chi scrive, che una delle sue prime edizioni italiane fu voluta proprio dal Giornale allora diretto da Montanelli. Dopo trent'anni il Giornale ha poi tradotto un'altra sferzante critica agli intellettuali di sinistra, pubblicando in pamphlet lucidissimo dell'americano David Mamet, in una sorta di inconsapevole eredità al passo coi tempi.

Ma torniamo al nostro. L'edizione che abbiamo tra le mani è di Lindau e contiene una bellissima introduzione di Angelo Panebianco. Leggetela e non perdete la speranza sul fatto che in giro qualche intellettuale liberale esista ancora. Il libro di Aron, tra il pamphlet e il saggio, è di una straordinaria coerenza. Con qualche difettuccio derivante dal tempo (fu scritto nel 1953) e dal suo francocentrismo, ma dotato di una forza comunicativa unica. Aron si mette contro tutta l'intellighenzia che conta per aver scritto L'oppio . Oggi servirebbe aggiornarlo. Il cool-chic non ha più nel comunismo e nell'Urss la propria sponda ideologica, ma in un più sottile senso di conformismo e omologazione culturale, in un «savianismo» dei buoni sentimenti dilagante. Aron fornisce però un metodo, storico e sociologico, per scovare i trucchetti e i tic degli intellettuali accucciati nel pensiero unico. Aron è complicato: in un mondo diviso per blocchi, e in un ambiente culturale che subito lo definì di destra per non essere sartriano, non vuole dividere la storia tra buoni e cattivi. È affascinato da Marx come storico; è invece un detrattore dei marxisti come rivoluzionari. L'oppio degli intellettuali resta la critica più feroce e ficcante dell'intellettuale di sinistra: lo analizza, lo storicizza, lo racconta e lo demolisce. Non con l'invettiva, ma con il ragionamento e con gli strumenti storici, economici e sociologici, che Aron manovra con una destrezza eccezionale.

Se non lo avete mai letto, ri-leggetelo.

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