Controcultura

L'Ottocento italiano un tesoro da scoprire

Dalle "Rovine di Pompei" di Cambriani ai capolavori di Mancini e Cammarano

L'Ottocento italiano un tesoro da scoprire

Eccoci a Pescara, per la visita alla raccolta Di Persio-Pallotta, divenuta un grande Museo pubblico dell'Ottocento, sotto specie di Fondazione, nel palazzo che fu della Banca d'Italia.

Al primo piano c'è' la sala dedicata a Domenico Morelli. Le opere esposte, dai soggetti storici a quelli orientalisti, indicano una viva attenzione per la pittura europea, in particolare quella francese, che Morelli conobbe all'Esposizione Universale di Parigi del 1855, dove era con gli amici pittori Serafino De Tivoli e Saverio Altamura. Il rapporto con Altamura è testimoniato da un piccolo ma intenso ritratto del 1848, un anno assai importante per la storia d'Italia. Nelle sale del primo piano si entra quindi nel vivo della pittura dell'Ottocento: dai dipinti della «Scuola di Resina» tra cui il celebre Rovine di Pompei di Alceste Campriani, già acquistato da Goupil su segnalazione di Vincent Van Gogh alla poesia e verità dell'Abruzzo di Francesco Paolo Michetti, di cui la collezione Di Persio accoglie dipinti e pastelli di vivace modernità. Sullo stesso piano si vedono opere di Vincenzo Irolli, Gaetano Esposito, Giuseppe Casciaro, Edoardo Dalbono, Vincenzo Caprile, pittori tra i più amati dal collezionismo dell'Ottocento. Un'intera sala è poi dedicata ad Antonio Mancini, con diciassette capolavori. «Ho incontrato in Italia il più grande pittore vivente: Antonio Mancini»: così disse il celebre ritrattista americano John Singer Sargent nel 1920. È la stessa dimensione internazionale riconosciuta a Boldini, il prestigio che ci dovrebbe indurre a considerare Mancini non inferiore, per intelligenza e virtuosismo, al miglior impressionista. La considerazione in Italia è confermata dalla nomina ad accademico di merito all'Accademia di San Luca, su proposta di Sartorio nel 1913. Una vita piena di diverse stagioni, una stupefacente capacità di far vibrare la materia, con una superficie in ebollizione sopra la trama dell'immagine data. Un magistero che va da Tiziano a Schifano, da Rembrandt a Warhol. Singolarmente nel 1934, a quattro anni dalla morte del pittore, fu la giovanissima Palma Bucarelli a scrivere di Mancini nella sede ufficiale e istituzionale del Dizionario biografico degli Italiani della Enciclopedia Treccani. Dopo gli studi con Domenico Morelli il primo stile di Mancini si conferma nella seconda dimora napoletana (1879-1883). E sono subito capolavori: Prevetariello, lo Scugnizzo, Rose, Il voto a San Gennaro. Dentro c'è l'esperienza di Parigi e di Londra in una fortissima contaminazione del gusto internazionale con la pittura napoletana del Seicento, da Ribera a Mattia Preti, a Massimo Stanzione. Si viene costituendo un virtuosismo pittorico, analogo a quello «verbale» di D'Annunzio, e la Bucarelli ne dà subito conto: «amante dell'esteriorità, assorbito dalla soluzione di problemi essenzialmente pittorici, inebriato dalle grandi feste del colore, Mancini non considerava il soggetto che è come pretesto alle sue visioni, in quanto ciò, esso prima di essere donna , frutto, fiore, veste, strumento, è volumi e colore, suscettibile di infinite possibilità luminose. Egli percepiva i fenomeni e l'eccitamento di una perenne sensualità visiva... la sua potenza è somma nel rappresentare come luce le gemme, l'oro, i fiori, gli uccelli, i liuti, tutto il ciarpame che egli, grandissimo pittore, ma non sempre di buon gusto, amava affastellare intorno ai suoi scugnizzi, ai suoi saltimbanchi, ai paggi, ai moschettieri, alle fioraie, ai mille volti delle sue donne atteggiate in una unica espressione. Mancini aveva esordito nel 1868 con lo Scugnizzo o Terzo comandamento insieme a Dopo il duello, folgorante prova di un magistero degno dei maestri antichi. Roma è casa, Venezia il teatro dove Mancini vede artisti e collezionisti nel meraviglioso Palazzo Barbaro, fra i dipinti di Sebastiano Ricci e Giambattista Piazzetta, e dove vive Daniel Sargent Curtis, cugino del grande pittore americano (di cui io ho a lungo, nel mio periodo veneziano, frequentato gli eredi). Nel 1887, ospite in Palazzo Barbaro, Mancini è presente alla Esposizione nazionale, e qui matura il sistema della doppia graticola sperimentata in dialogo tra fotografia e prospettiva, tra la fine degli anni '80 e '90. In quegli anni, pur riconosciuto, Mancini appare un artista eccentrico. Nel 1895 conosce a Roma Isabella Stewart Gardner, fondatrice dell'omonimo museo di Boston, che aveva acquistato dai Curtis il Ciociaretto portastendardi. Isabella gli commissionò il ritratto del marito per palazzo Barbaro. Così Mancini arrivò a Venezia in maggio, e visitò la prima Biennale internazionale d'arte, alla quale prese parte con il Ragazzo romano e Ofelia. Partecipò regolarmente alle successive edizioni fino al 1914.

Un'altra sala monografica è dedicata a Michele Cammarano, cui spetta un posto di grande rilievo nel panorama dell'arte napoletana dell'Ottocento. Le opere esposte sono prova della novità della sua pittura, in cui il realismo francese si fonde con la sensualità della scuola partenopea. Si veda qui la monumentale e fondamentale tela intitolata Incoraggiamento al vizio, del 1868, il cui taglio compositivo mostra una personale interpretazione del realismo di Gustave Courbet, che l'artista ebbe modo di conoscere solo due anni dopo, in occasione del suo primo viaggio a Parigi. Antecedente al soggiorno francese è La strega, in cui il soggetto esoterico è scevro da declinazioni pittoresche. Due dipinti documentano il viaggio in Eritrea, nel 1888, per la commissione ricevuta dal Ministero della Pubblica Istruzione del grande dipinto commemorativo della battaglia di Dogali. In questa stessa sala,i dipinti dell'abruzzese Teofilo Patini indicano una diversa strada del Realismo.

Il secondo piano del nuovo museo approfondisce il legame tra Napoli e Parigi, con due sale dedicate a scene di genere, ritratti di donne (Silvestro Lega e Niccolò Cannicci) o di famiglia (Gioacchino Toma e Michele Tedesco) e scene di rievocazione storica (Saverio Altamura e Tranquillo Cremona). A partire dalla metà dell'Ottocento, e per più di mezzo secolo, Parigi è stata la capitale universale dell'arte moderna. Molti artisti italiani furono in Francia per brevi soggiorni di studio o per visitare le grandi esposizioni; altri ne colsero le novità attraverso riviste e quotidiani. Altri ancora vi si trasferirono per lunghi anni e, non di rado, definitivamente. È questo il caso di molti dei pittori della collezione Di Persio-Pallotta. Tra i paesaggisti spicca Giuseppe Palizzi, di cui si vedono quattro dipinti. Va inoltre segnalata la Scena di caccia del fratello Filippo, probabilmente dipinto durante il suo soggiorno a Barbizon. I paesaggi del napoletano Federico Rossano, già tra i protagonisti della Scuola di Resina, documentano l'influenza della pittura dei colleghi frequentati in Francia e, in particolare, di Camille Pissarro. A Parigi, Rossano si misurava con l'amico Giuseppe De Nittis, il quale trovò nel filone elegante dell'impressionismo francese la dimensione ideale per esprimere la sua vocazione per una pittura luminosa e vivace. Del pittore pugliese sono esposti tre dipinti che raccontano la vita dell'alta società: un doppio ritratto di madre e figlia a teatro, e due scene di interno, Tra i paraventi e In attesa, entrambe sotto l'influenza dell'arte giapponese. Il percorso procede con le ampie sale dedicate ai pittori di Barbizon. Luce e colore, con pennellate rapide e corpose, prendono il sopravvento sui soggetti, a volte fino quasi a raggiungere l'astrazione.

Testimonianze preziose della collezione Di Persio-Pallotta sono due opere dense e intense di Gustave Courbet, Le rive della Loue (1862) e Le ruisseau entre les rochers (1876). Il confronto tra loro rivela come lo stile quasi duro degli anni Sessanta, che tanto ispirò gli impressionisti, vada via via attenuandosi negli anni, portando l'artista ad armonie più delicate. Il percorso si chiude con un'altra artista internazionale: Rosa Bonheur. Radicale femminista, la Bonheur lavorò tutta la vita per vedere riconosciuto il suo ruolo nel mondo artistico, dipingendo scene rurali e animali, che in questa sede dialogano con i dipinti di Palizzi.

Per studiare gli animali dal vivo eseguendo schizzi a matita, la pittrice era solita recarsi al mercato vestita da uomo, così da non attirare l'attenzione dei presenti. Buona visita!

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