Cronaca locale

Tra machismo e insicurezza: le baby gang a Napoli

Nel mondo delle case famiglia per ragazzi penali di Napoli dove gli appartenenti alle baby gang tentano di cambiare vita

Tra machismo e insicurezza: le baby gang a Napoli

Verso l’una di notte la stretta via del centro storico di Napoli si riempie di vita. I ragazzini corrono in motorino avanti indietro senza uno scopo reale. Ogni scooter porta due o tre ragazzi senza casco e rigorosamente vestiti di nero.

I guidatori ogni tanto si fermano e si mettono a chiacchierare. I giovani di Napoli sono pieni di energia e voglia di vivere, ma anche di fragilità. Per fortuna la maggioranza ce la fa, ma esistono purtroppo anche quelli che rimangono incastrati nella malavita o nelle baby gangs. Quando si conoscono i ragazzi che finiscono nelle case famiglia per penali, per reati legati alle baby gangs, spesso tentato omicidio con coltelli o rapine, si rimane sorpresi dal fatto che molti sono simpatici e sembrano bravi ragazzi. Ci si chiede come possano aver compiuto un reato così grave. Quando li si conosce meglio di solito si scopre che non hanno ancora preso la terza media a 16 anni, che sono pieni di vitalità, ma anche molto insicuri fuori dal loro quartiere e dal loro gruppo. Basta spostarli da un quartiere all’altro di Napoli o in un ambiente sociale differente, perché si sentano dei pesci fuor d’acqua.

La questione appare ancora più evidente quando nelle case famiglia arriva qualche straniero, spesso per piccoli reati. Questi minorenni, spesso africani, hanno affrontato lunghissimi viaggi e hanno una capacità a cavarsela molto superiore. Parlano in genere qualche lingua africana, inglese o francese e imparano subito l’italiano. Oggi sono qui, domani chissà. I giovani delle baby gangs sono invece talmente territoriali che fuori dal loro quartiere non sanno come muoversi, sono appunto insicuri. Spesso gli operatori si rendono conto che sono ancora adolescenti, hanno bisogno di attenzione. Mentre gli stranieri, dopo il lungo viaggio sono diventati più adulti pur avendo la stessa età.

Il dubbio su come minori così simpatici, magari irruenti, ma in fondo insicuri, possano avere commesso reati così gravi, trova parziale risposta quando nelle case famiglia arriva qualche “capuzziello” un capetto appena uscito da Nisida o qualche altro carcere minorile. I ragazzi delle baby gangs spesso si conoscono tutti perché si incrociano sul territorio, nei carceri minorili o nelle case famiglia.

Quando un minore che si atteggia a piccolo boss arriva in una casa famiglia di solito finisce per portarsi dietro gli ragazzi, penali di nazionalità italiana. In quel momento si comprende perché hanno potuto accoltellare. I ragazzi che sono insicuri trovano sicurezza in gruppo e nelle sue leggi. Se il piccolo capo del gruppo dice di fare una cosa loro la fanno. È come se non avessero formato una capacità di giudizio autonoma. Non riescono fino in fondo a pensare e giudicare da soli. In questi casi se non si riesce a cambiare la personalità il “capuziello” diventa necessario spostarlo per evitare che si porti dietro tutti gli altri.

Fatto questo diventa fondamentale lavorare con i minori per farli sentire più sicuri di se stessi e renderli capaci di decidere con la loro testa.

Non sarà vestendo di nero, comprando un pit-bull o trovandosi un gruppo con un capo che si dimostrerà di essere forti nella vita.

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