Teatro

Quella "Manon" di Visconti che risuona ancora oggi

Mezzo secolo fa a Spoleto il malandato Luchino rilanciò il capolavoro di Puccini. Davanti a Mastroianni e De Sica

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«Trionfale», «Memorabile», «Folgorante», «Storica». In anni in cui ancora non si abusava in enfasi, questi furono gli iperbolici aggettivi con cui al sedicesimo Festival dei Due Mondi di Spoleto, il 21 giugno 1973 esattamente cinquant'anni fa - i quotidiani salutarono la prima di uno spettacolo destinato a divenire leggenda: la Manon Lescaut di Puccini con la regia di Luchino Visconti. Ricordare oggi, dopo mezzo secolo, quella prodigiosa Manon non significa solo celebrare l'ultima, e forse più grande regia lirica di Visconti; ma tutta una cultura dell'allestimento operistico che ormai, sotto l'incalzare di regie sempre più narcisistiche e autoreferenziali, sembra avviata all'estinzione. Tutto nacque dal «complotto» con cui Romolo Valli (direttore artistico a Spoleto) cercava di far lavorare il grande vecchio, immobilizzato dall'ictus che l'aveva colpito alla fine delle riprese del Ludwig. Contrario era Giancarlo Menotti, fondatore del festival: troppo alto il rischio di affidarsi ad un infermo. E il Tanto tempo fa, lo spettacolo con cui solo un mese prima Luchino era tornato alle scene dopo un anno di stop, sembrava dargli ragione: talmente controverso da mandare su tutte le furie l'autore, Harold Pinter, che lo fece sospendere. A Spoleto, tuttavia, per il vecchio leone si mobilitò un'irripetibile congiunzione di astri: sul podio Thomas Schippers, l'acclamato direttore americano bello come un divo di Hollywood; alla scenografia la sublime Lila de Nobili; come costumista il più viscontiano di tutti, Piero Tosi, coadiuvato dalla giovane Gabriella Pescucci, futuro premio Oscar. Nulla venne risparmiato per facilitare l'illustre inabile: la Rolls Royce che lo portava alle prove entrava fin dentro il Teatro Nuovo; in casa gli montarono un gradino identico a quelli che portavano al palcoscenico, perché col fisioterapista si esercitasse a salirlo. Proverbiale la ricerca della protagonista: «Chiese un soprano che potesse apparire nuda raccontava Menotti - perché l'avrebbe fatta uscire, di spalle, da una tinozza. Dopo audizioni in tutta l'America trovammo Nancy Shade, e io gli telegrafai: Trovata Manon. Ha un bellissimo sedere!». Ma fu soprattutto la scelta del titolo, a fare la differenza. Manon: la meno eseguita, la meno amata delle opere pucciniane, pativa da sempre il confronto con l'«altra» Manon, quella di Massenet. L'eco che lo spettacolo di Visconti avrà in tutto il mondo ne rivaluterà la grandezza, rilanciandola nel repertorio internazionale.

Due i segreti di quel trionfo. A differenza di molti registi attuali Visconti non rifiutava i luoghi comuni del melodramma, né cercava di mascherarli o aggirarli. Al contrario: li amava. Va da sé che lo spettacolo era d'uno splendore formale ineguagliabile: il '700 di Prevost filtrato dal tardo '800 di Puccini, con una finezza dannunziana (fecero epoca le calze a righe stile Toulouse-Lautrec indossate da Manon) che faceva mormorare «ooooooh!» sbalorditi al pubblico quando al secondo atto il sipario scopriva un'alcova sovraccarica di cuscini ricamati su cui, con squisita nonchalance, era gettata una sciarpa di seta azzurra, e la protagonista cantava distesa la tremenda nostalgia di «In quelle trine morbide».

Quel fulgore estetico, però, faceva soprattutto da catalizzatore alla regia, che (ecco l'altro segreto) nasceva solo dalla musica. «Così i due protagonisti - scrisse il critico Teodoro Celli - sono stati veramente Manon e Des Grieux; non due cantanti incaricati di quelle parti». Così il loro duetto, che come nel Tristano di Wagner non descrive l'amore ma l'impossibilità dell'amore, con la musica che invece di salire verso l'estasi scende verso la dannazione, Visconti lo visualizzò facendo scivolare inesorabilmente i due amanti dall'alcova fino al pavimento. Molti degli spettatori (compreso chi scrive) e dei vip presenti, fra cui il presidente Leone con donna Vittoria, Vittorio De Sica, Marcello Mastroianni, Wally Toscanini, Valentina Cortese, Silvana Mangano, Marella Agnelli, Valentino, davanti allo straziante corteo delle prostitute che nel terzo atto vengono deportate, o l'abbraccio dei due amanti nella desolata solitudine del quarto, piansero. E infine in delirio osannarono il vecchio leone, che da un palchetto laterale ringraziava agitando un fazzoletto bianco.

Di questo leggendario spettacolo non esistono riprese filmate. Solo una registrazione audio pirata e un breve documentario backstage. Una sciagura per alcuni; una provvidenza per altri. «Spettacoli come Manon scrisse Enzo Siciliano - vorremmo ripiegarli in quattro e portarli a casa, per gustarceli nei momenti di bassa. Ma la labilità di un capolavoro è parte del suo fascino.

E della magia che il suo ricordo continua, immutato, a suscitare».

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