Cultura e Spettacoli

Il mare è il vero abisso del senso del ridicolo

Quasi nessun grande scrittore è rimasto immune dal virus acquatico: da Hemingway alla Woolf fino a Baricco e Genovesi, quanti luoghi comuni

Il mare è il vero abisso del senso del ridicolo

Mi rendo conto, sono uno scrittore e non un poeta, sarà per questo che odio gli scrittori, i poeti non so cosa siano e amo gli scienziati. D'altra parte il cuore fa rima con amore, mentre a me, sarà l'età, viene solo in mente il miocardio e le pulsazioni troppo alte, ma dire a una donna «ti amo con la corteccia prefrontale» lo troverei più profondo e volendo fa rima baciata con sentimentale e anche con «facciamo sesso anale?».

Stessa cosa per il mare, rincretinisce chiunque, perché è poetico. Tanto per cominciare dovete spiegarmi cosa ci sarà di poetico nello spalmarsi di crema solare e mettersi a sudare su un lettino vicino a estranei in mutande e cellulite, e comunque anche da solitari non c'è scrittore che non abbia pensato una scemenza equorea sentendosi profondo. Uno scienziato come Richard Dawkins vi racconterebbe come il nostro centottantamilionesimo antenato è un pesce e sarebbe bello ascoltarlo; al contrario perfino un grande come Flaubert ha scritto: «Mare. Non ha fondo. Immagine dell'infinito. Fa venire grandi pensieri». Mah, a parte che il fondo ce l'ha, capirei l'universo e le distanze siderali di milioni di anni luce tra una galassia e l'altra, il fondo del mare era perfino in cima all'Everest, dove si trovano fossili di pesci preistorici e conchiglie.

Non a caso Giacomo Leopardi, il meno balneare di tutti, vedeva l'infinito da Recanati, e non ce lo vedo in costume a prendere il sole, la fotosintesi la lasciava fare alla siepe. Marcel Proust si salva, perché aveva letto Darwin e il mare alla fine diventa un abisso biologico come un altro (i Guermantes invecchiando prendono le sembianze di orribili pesci degli abissi), Balbec è un ricordo per struggersi nel tempo perduto e il capolavoro di tutti i tempi lo scrive rinchiudendosi in una stanza polverosa per quindici anni e mandando a quel paese il fratello medico, che voleva portarlo al mare per curargli l'asma.

Il più orridamente marittimo e il più sopravvalutato è lui, l'amante delle corride, il mangiatore di pesce crudo, quel puzzone sudato di Ernest Hemingway, infatti il suo libro più amato è Il vecchio e il mare , e la tragedia sarebbe quando alla fine il pesce cacciato dal vecchio viene mangiato dagli squali, almeno avessero sbranato questo senescente rincoglionito «con gli occhi color del mare», e già che c'erano anche Hemingway, tanto poi si è ucciso da solo.

Virginia Woolf al mare dedica un libro, Le onde , bellissimo, credo, ma non sono mai riuscito a finirlo, troppo ricamato a uncinetto sulla suggestione sentimentale del bagnasciuga. «Ogni onda del mare ha una luce differente, proprio come la bellezza di chi amiamo». Non so cosa significhi, forse aveva problemi alla vista o un tumore al cervello, però guarda caso lei è suicidata in un fiume, forse perché si è accorta che si stava trasformando in Baricco.

Se questi i grandi, con i piccoli autori italiani figuriamoci, e ovviamente il migliore dei peggiori è proprio Baricco, che furbescamente ci ha intitolato il suo bestseller, Oceano mare : «È uno specchio, questo mare. Qui, nel suo ventre, ho visto me stesso. Ho visto davvero». Ma cosa hai visto. A me Baricco fa venire voglia di seppellirlo nella sabbia fino alla testa dove gli lascerei sopra una medusa di quelle grosse e gelatinose, però capisco, è come sparare sulla croce rossa balneare.

Peggio ancora Fabio Genovesi, a mollo nel mare ci scrive i romanzi, e con l'ultimo, Chi manda le onde ha vinto il Premio Strega Giovani (ma quale giovane se ha quarant'anni e passa). Tutta una lagna di favole strappalacrime di albe e tramonti e bambine albine mezze cieche e la Versilia e onde da solcare «rubando il cuore alle ragazze del paese», non poteva mancare il cuore, e di cuori infranti e affranti è disseminato il romanzo per dodicenni romantici invecchiati male (forse per questo il Premio Giovani), peggio di un reparto di emodinamica per anime in pena.

Ah, quante volte sento dire che il mare è bello perché siamo venuti dal mare. Certo, ma sono passati trecento milioni di anni da quando ce ne siamo andati, altrimenti eravamo ancora procarioti o trilobiti del Cambriano, e sarebbe stato meglio, per carità. Invece i pensieri più belli sul mare li ha scritti Aldo Busi e solo lui, perché non vanno da nessuna parte che non sia la lingua e il pensiero della lingua che rielabora una verità o una bugia non più perfettibili, con le illusioni già perdute in partenza. Come quando scrive in Sodomie in corpo 11 : «resto un'eternità ammollo a contemplare la materia pura dei miei pensieri, ognuno dei quali è intercambiabile con altre miriadi di egual purezza, che è un sentimento mio sulla felicità da non prendere alla lettera né da sottovalutare».

E non era neppure a mollo in mare ma in una piscina, quella sì che mi piace, mattonelle, cloro, wi-fi, acqua limpida e niente granchi o tracine o meduse o grandi squali bianchi, che meraviglia, è l'idea platonica del mare: infatti dalle piscine non nascono mai pensieri cretini sulla vita rivelatori solo la povertà di pensieri di chi li pensa contemplando da una barca o sulla riva un orizzonte che non c'è.

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