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Margherita sconfitta sul tesoro degli Agnelli

L'eredità contesa: la figlia dell’Avvocato sosteneva che non fosse stata rivelata parte del patrimonio. Ma il Tribunale ha rigettato la causa. Il sollievo della madre: "Finita una triste storia"

Margherita sconfitta 
sul tesoro degli Agnelli

Gianni Agnelli avrebbe compiuto venerdì scorso, dodici marzo, ottantanove anni. Di certo lo avrebbero festeggiato i suoi parenti tutti, dicesi duecento almeno. Tra questi, la figlia Margherita. Non è più tempo di champagne e candeline, Margherita Agnelli de Pahlen è una donna sola e nemmeno al comando. Non le servono i figli che sono una brigata «non pensavo di avere una bambinaia» disse un giorno l’Avvocato riferendosi a Margherita che spupazzava di giorno e di notte. Non le servono i suoi avvocati che hanno perso la causa. Non le serve l’affetto tiepido, e comunque garantito, di sua madre. Margherita Agnelli de Pahlen ricomincia la sua esistenza diversa, distaccata, lontana, solitaria, dopo aver perso una battaglia legale che, forse, anzi sicuramente, non avrebbe dovuto avviare.

Era il diciotto di febbraio del duemila e quattro, un anno dopo la scomparsa di Gianni Agnelli, quando nello studio del notaio Ettore Morone era stato sottoscritto un accordo tra madre e figlia: Margherita avrebbe ricevuto 670 milioni di euro, che era poi il patrimonio, italiano ed estero a Lei comunicato, comprendente conti bancari, azioni, immobili, barche, collezioni d’arte. Margherita trasferiva alla madre il 25 per cento della «Dicembre», la società che guida la Giovanni Agnelli Sapaz e usciva dall’accomandita di famiglia, rinunciando all’eredità futura della madre alla quale garantiva un usufrutto mensile di 770mila euro.

Sembrava conclusa una trattativa aspra, anche volgare per la dinastia più illustre del capitalismo italiano. Ma era soltanto l’inizio della guerra. Margherita non si fidava di chi aveva cura del patrimonio di suo padre e, dopo essersi consultata con gli avvocati, aveva denunciato Gabetti, Franzo Stevens, Maron, decidendo di portare in tribunale anche la madre «per esigenze tecnicistiche legali italiane», così giustificandosi più volte, quasi a scusarsi dinanzi allo stupore di Donna Marella. «Sono tutti contenti di ballare questa musica. C’è qualcuno che ha voluto togliere dei personaggi da questa storia, hanno voluto fare uscire Margherita quel giorno di cinque anni fa, insieme a suo padre. Ho ceduto. Mi hanno fatto violenze psicologiche. Se non fossi stata forte mi sarei buttata da un ponte come ha fatto mio fratello». Parole durissime, anche drammatiche, un segnale di allarme e di fragilità.

Margherita voleva accertarsi delle voci che riferivano di un patrimonio ingente, nascosto all’estero, accumulato da suo padre, un miliardo e quattrocentosessantatré milioni sfuggito alla divisione ereditaria post mortem, patrimonio a conoscenza, secondo la tesi di Margherita, dai tutori, Gabetti, Stevens e Maron.

L’azione clamorosa, le stesse parole usate nelle interviste da Margherita, hanno spiazzato l’intera famiglia, il figlio John, avuto dal primo matrimonio con Alain Elkannn e al quale era stata donata dalla nonna quella quota della «Dicembre», si era detto addolorato della vicenda, con lui Lapo e Ginevra; la stessa Marella, in una lettera inviata al settimale tedesco Focus (che aveva raccolto un’intervista-denuncia amara di Margherita) aveva accusato la figlia di raccontare falsità: «Mi trovo nella spiacevole situazione di dovermi difendere in tribunale, chiamata in causa proprio da mia figlia, con la quale nel 2004 avevo raggiunto un accordo definitivo e soddisfacente sotto ogni aspetto» e Donna Marella, in un passaggio dello scritto, aveva chiamato la propria figlia non con il nome ma, quasi con distacco crudele, «la Signora de Pahlen».

Tre anni di mormorii, di carte bollate, di voci su fondi neri, di amanti segrete di Gianni Agnelli, definite da Stevens, per etimo francese maîtresses; tre anni nei quali Margherita ha licenziato lo staff di avvocati non cambiando strategia, tre anni durante i quali si sono avvicendate accuse, denunce, rinvii a giudizio, tre anni nei quali la Giovanni Agnelli Sapaz ha mandato alle stampe un comunicato che attaccava così la figlia dell’Avvocato senza mai nominarla, secondo stile aziendale: «Nei giorni stessi di una sfida fondamentale per dare alla Fiat prospettive di sviluppo c’è chi per pretese di successione famigliare si dedica invece a minare la credibilità del gruppo e dei suoi uomini, stravolgendo il passato e gettando persino ombre sinistre sull’operato e sulla memoria dell’Avvocato». Era il timbro che chiudeva la pratica. Margherita non ha voluto leggere, non ha voluto ascoltare, non ha voluto capire.

Dicono che i soldi non diano la felicità. Dipende dal conto corrente, ma in casa Agnelli qualcuno la pensa così. «...vada come vada...», aveva detto Margherita de Pahlen all’inizio della battaglia. È andata.

È finita.

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