Economia

Mattonelle hi tech per battere la concorrenza

Leader in Italia, tra le prime in Europa: «Siamo sempre una piccola ditta ma in grado di offrire oltre 250 prodotti»

Hanno cambiato pelle tre volte. All’inizio gli Antoniazzi fanno mattonelle per i pavimenti delle case, mattonelle a base di graniglie di marmo e cemento. Poi l’arrivo della ceramica li costringe a guardare fuori dall’Italia: diventano un’azienda esportatrice riuscendo a vendere le loro mattonelle per le grandi superfici, tra cui i supermercati in Germania, e le abitazioni in Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi. Ma con l’arrivo anche in quelle zone della ceramica e il conseguente crollo delle vendite, sono di nuovo costretti a cambiare: scelgono un’altra nicchia di mercato, questa volta in Italia, danno fiato all’innovazione e si convertono alle pavimentazioni per esterni. In un primo tempo mattonelle decorate per giardini e terrazzi, in seguito mattonelle antimacchia e mattonelle che imitano in tutto e per tutto graniti, marmi, porfidi, legno, travertino e sono utilizzate non solo per i pavimenti ma anche per i rivestimenti murari. Oggi gli Antoniazzi sono alla guida di un’azienda che porta dal 1929 il loro nome ed è leader in Italia e tra le prime in Europa. «Siamo sempre una piccola azienda in grado però di offrire oltre 250 prodotti», commenta Pietro Antoniazzi.
Il nonno Pietro. Pietro è un giovanotto di 36 anni essendo del 1970. Ed è un esponente della terza generazione insieme a una sorella più grande di tre anni, Debora, la quale si occupa in azienda dell’export. All’inizio, nel lontano 1929, c’è un altro Pietro, nonno Pietro. È originario di Pizzighettone, in provincia di Cremona, appartiene a una famiglia che possiede terre e bestiame, e quando è vicino alla trentina si mette in proprio producendo le mattonelle per i pavimenti delle abitazioni. Mattonelle a base di scaglie di marmo e cemento destinate al mercato locale. A metà degli anni Sessanta entra in azienda il figlio Luigi. È del 1939, ha una laurea in Economia alla Cattolica di Milano, si sposa con Giuliana Gerletti che è di Riva del Garda in quanto in quel periodo i suoi hanno sulle rive del lago un albergo, il Bellavista, ed è lui a dover inventare dopo la scomparsa del padre il modo per fare sopravvivere l’azienda. Già, perché con il successo della ceramica, le mattonelle a base di graniglie di marmo e cemento finiscono fuori mercato. La ceramica ha infatti vari vantaggi: è più facile da installare, non richiede dopo la posa una rilevigatura come accade invece per le mattonelle vecchio tipo, pesa di meno, ha bisogno di una minore manutenzione in quanto non assorbe. L’avvento della ceramica taglia le gambe a molte aziende: in quegli anni erano 130-140 le imprese che producevano le mattonelle vecchia maniera, alla fine degli anni Ottanta rimarranno una ventina.
I mercati esteri. Cosa pensa Luigi? Se la ceramica, si dice, prende talmente piede da buttarci fuori d’Italia, noi allora cerchiamo nuovi mercati all’estero. E, servendosi di agenti ma andando anche lui in giro, ci riesce alla grande trovando due sbocchi molto importanti: pavimentazioni per grandi superfici, tipo quelle dei supermercati Metro, nei Paesi di lingua tedesca, dalla Germania all’Austria e alla Svizzera, e pavimenti per gli interni delle case nei Paesi arabi, dal Kuwait all’Arabia Saudita. Alla fine degli anni Ottanta il fatturato dell’Antoniazzi è di 8 miliardi delle vecchie lire realizzati per oltre il 90% con l’export. Solo che a un certo punto le vendite nei mercati arabi crollano di brutto per due fattori: l’arrivo della ceramica e lo sviluppo delle produzioni locali. Le vendite calano anche nei mercati tedeschi in quanto il crollo del Muro di Berlino dà fiato alla concorrenza dei produttori di mattonelle vecchia maniera provenienti dall’Est europeo. Calano ma non crollano come in Arabia. E Luigi deve inventarsi comunque una nuova via di scampo. Capisce che la ceramica gli ha ormai tolto moltissime opportunità nelle pavimentazioni per interni ma non lo scalfisce invece in quelle per esterni. Anzi, è convinto che l’attenzione per l’arredo urbano e per la valorizzazione degli spazi esterni avrebbe preso sempre più piede. E dal momento che nei primi anni Novanta i giardini e i marciapiedi sono ancora realizzati in gran parte con sassolini di fiume o asfalto, lui s’inventa una nicchia di mercato che prima non esisteva: adatta la tecnologia degli impianti utilizzati per i pavimenti interni in modo da produrre quelli per esterni e s’inventa anche un impianto decorante, in grado cioè di realizzare sulla stessa superficie della mattonella sia la parte levigata sia quella sabbiata.
La pietra naturale. Sviluppa quindi una gamma di prodotti a base di pietra naturale in cui anche l’estetica e la qualità innovativa hanno un peso importante. Crea infine una rete di distribuzione del tutto nuova. Prima erano sufficienti pochi agenti esteri, ora deve tenere invece conto degli oltre 10mila rivenditori edili sparsi per l’Italia. Un numero enorme. Ne sceglie così 2mila e nel corso degli anni li rifornisce di 4.500 espositori, una specie di vetrine, sui quali presenta i propri prodotti. «Un lavoraccio fondamentale», commenta il figlio.
Pietro entra in azienda a metà degli anni Novanta, quando il padre è ancora fortemente impegnato nel ridisegnare la strategia dell’Antoniazzi. Ha 25 anni, è pieno di entusiasmo e fa presto a imparare occupandosi subito del commerciale. Ha una laurea in Economia alla Cattolica nella sede di Piacenza, ha studiato anche negli Stati Uniti e in Svizzera, e sin dai tempi delle scuole superiori conosce la ragazza che diventerà poi nel 1998 sua moglie, Chiara Anglois. Anzi, la giovane signora Antoniazzi, originaria di Cremona, non solo si diploma con lui e si laurea alla Cattolica lo stesso giorno in cui si laurea il futuro marito ma ora lo affianca anche sul lavoro: si occupa di marketing. L’Antoniazzi così si sviluppa in due direzioni: l’80% del giro d’affari è legato ai pavimenti per esterni, il 20% alle pavimentazioni per interni, soprattutto con una gamma destinata alla grande cantieristica.
Il business aeroporti. Sono dell’Antoniazzi i prodotti per gli aeroporti di Francoforte, Ginevra e Malpensa, per le carceri di Bollate, per le banchine di alcune stazioni ferroviarie di Milano, da Lambrate a Rogoredo. Ma l’impulso maggiore, puntualizza Pietro che oggi sta prendendo in mano la gestione dell’azienda mentre papà si occupa dello sviluppo tecnico dei nuovi progetti oltre a impegnarsi con una certa soddisfazione sui campi di golf con handicap 18, «è dato proprio dai pavimenti per esterni». Grazie anche a un robusto shopping.
Lo shopping in Francia. Nel 1999 l’Antoniazzi rileva un’azienda francese, nell’Alta Savoia (100 km da Lione), specializzata in pavimenti per esterni. E tre anni più tardi acquisisce un’altra impresa nei pressi di Tolosa. Quindi è la volta di una società a Bergamo e poi di uno stabilimento a Firenze. Ma, spiega Pietro, «un motivo c’è: le mattonelle sono pesanti e il costo di trasporto può incidere anche del 50%. C’è quindi bisogno di avere stabilimenti sparsi un po’ dovunque dal momento che oltre i 300-400 chilometri di distanza il nostro prodotto fatica a essere competitivo». Questo fatto spiega perché l’Antoniazzi si sia sviluppata in Germania e non in Francia: negli anni Ottanta il livello medio di vita era più alto in Germania e quindi poteva permettere un prezzo di vendita più alto rispetto alla Francia dove invece il livello era più basso e quindi non rendeva per nulla competitivo il prodotto Antoniazzi.
L’anno della svolta. Ma è con il 2004 che lo sviluppo dell’Antoniazzi subisce una nuova accelerazione grazie alla tecnologia di un’azienda inglese, la Bradstone: realizza una gamma di pavimentazioni di alta qualità, muretti e bordure che riproducono esattamente tutte le sfumature e le strutture della pietra naturale e del mattone. In aggiunta l’Antoniazzi, 120 dipendenti e fatturato di 20 milioni di euro di cui il 20% ottenuto con l’export, riesce a rendere le mattonelle antimacchia. Come? Con un trattamento liquido sviluppato da un’azienda chimica emiliana e un impianto produttivo progettato internamente e realizzato con una tecnologia innovativa. In questo modo l’Antoniazzi elimina una delle grandi differenze con la ceramica. C’è di più: avendo uno spessore di 4 centimetri, queste mattonelle sono anche autoportanti, quindi non hanno necessariamente bisogno di colla ma possono essere posate a secco. Oggi, spiega Pietro, «solo il 15% delle mattonelle (in un anno la produzione è di 1,8 milioni di metri quadrati) ha il trattamento antimacchia.

Presto arriveremo al 50%».
(91 - Continua)

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