Controcultura

Maurras, la cultura al centro della destra

Il ritorno a classicità e ordine per contrastare i falsi miti del progressismo

Maurras, la cultura al centro della destra

Un grande storico americano studioso delle destre europee e in particolare dell'Action Française, Eugen Weber, fece notare come questo movimento monarchico avesse avuto non soltanto una grande influenza in campo politico sui modelli organizzativi di partiti nazionalisti e conservatori, ma anche, e forse soprattutto, in campo culturale. Charles Maurras, che ne fu il massimo teorico, elaborò un sistema di pensiero talmente organico e compatto da spingere Georges Sorel, padre del sindacalismo rivoluzionario e autore delle Considerazioni sulla violenza, a scrivere che egli rappresentava per la Monarchia quello che Marx rappresentava per il socialismo. In realtà il peso di Maurras e del suo movimento sulle linee di evoluzione della cultura francese della prima metà del XX secolo va ben oltre l'elaborazione e la proposizione di una precisa dottrina politica. Riguarda, per esempio, la scoperta o la valorizzazione di scrittori come Marcel Proust o Georges Bernanos, Paul Bourget o Drieu La Rochelle, di filosofi come Jacques Maritain, di storici come Jacques Bainville e Pierre Gaxotte e via dicendo. E ciò indipendentemente dal fatto che questi ne condividessero o meno le convinzioni politiche.

Dopo la prima guerra mondiale in Francia si parlava del movimento dell'Action Française come del «partito dell'intelligenza» volendo sottolineare, con questa espressione, il fatto che la polemica di Maurras contro il predominio della intellettualità progressista e illuministica aveva prodotto una vera e propria mutazione antropologica del mondo culturale e aveva portato «l'intelligenza a destra». Il che, per inciso, dovette allarmare, e non poco, i custodi della tradizione progressista della cultura francese tant'è che Juilen Benda cercò di demonizzare questo fenomeno in un pamphlet famoso e sulfureo dal titolo Il tradimento dei chierici, dove i chierici erano, appunto, gli intellettuali che avevano scelto di schierarsi.

I capisaldi della polemica di Maurras contro gli intellettuali progressisti e, al tempo stesso, i presupposti della riscossa dell'«intelligenza» sono tutti in un piccolo volume dal titolo L'avvenire dell'intelligenza, pubblicato per la prima volta nel 1905 come raccolta sistematica di alcuni articoli sull'argomento usciti due anni prima in una rivista letteraria e politica, Minerva, che durò poco più di un anno, ma che era riuscita a mettere insieme un eccezionale parterre di autori, il nucleo insomma del «partito dell'intelligenza», all'insegna di un progetto letterario che mettesse insieme, per dirlo con Maurras, «l'ulivo d'Attica e il lauro latino uniti alla moda francese».

Al momento dell'uscita di questo agile ma denso volume, il pensiero politico di Maurras si era già definito almeno nelle linee essenziali. Quest'uomo era nato in una Provenza impregnata di romanità, aveva ammirato dal vivo le rovine della civiltà greca, si era esaltato di fronte alle vestigia della classicità durante un lungo viaggio, quasi un pellegrinaggio, in Italia. Aveva stabilito, quasi inconsciamente, un'equazione fra classicismo e concetto di ordine: un'equazione secondo la quale il classicismo appariva come antitesi di un romanticismo, che, germinato dalle idee di Rousseau, sarebbe stato destinato a produrre solo disordine intellettuale e rivoluzionarismo politico. Da questo innamoramento, tutto letterario, per la classicità e l'ordine era disceso il suo impegno politico dalla fondazione dell'Action Française fino alla grande Enquête sur la monarchie per la Gazette de France e via dicendo.

Il saggio sull'avvenire dell'intelligenza uscì, dunque, quando Maurras, accanto all'attività organizzativa dell'Action Française stava gettando le basi per il «partito dell'intelligenza»: aveva promosso, quello stesso anno, il 1905, per esempio, la fondazione dell'Institut d'Action Française, struttura destinata a svolgere attività di «pedagogia politica» vera e propria fra gli intellettuali. Il saggio era funzionale a tale operazione. Ripercorreva le tappe del declino dell'intelligenza avvenuto nell'arco di pochi secoli. Ancora nel XVII secolo le lettere erano «un nobile esercizio» e avevano come scopo di essere «ornamento del mondo». Poi nel XVIII secolo i letterati erano diventati re grazie a Voltaire, all'Encyclopédie, a Rousseau e avevano instaurato la «dittatura generale dello Scritto»: «quando l'autorità regia scomparve, non cedette, come si dice, alla sovranità del popolo: l'uomo di lettere è il successore dei Borboni». La «dittatura letteraria» continuò ad imporsi con il letterato sempre più sottomesso alle esigenze dell'industria e alla schiavitù del denaro: «l'intelligenza non fece il suo mestiere d'illuminare e di orientare le masse all'oscuro: fece il contrario del suo mestiere, le ingannò».

Nel suo libro che costituisce una caustica e plastica rappresentazione dell'ascesa, del declino e della caduta della cultura Maurras lancia una ciambella di salvataggio invitando a trasformare la «disfatta dell'intelligenza» in un nuovo «avvenire dell'intelligenza» attraverso l'abbandono dei falsi miti del progressismo e il recupero, anche morale, delle idee di ordine e di classicità.

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