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Il medico fa rinascere l'ospedale che gli ha regalato la vita

Giorgio Rizzato: "Ho mantenuto la mia promessa. Mia madre non poteva avere figli, fu curata qui e dopo 9 anni sono nato io"

Il medico fa rinascere l'ospedale che gli ha regalato la vita

Spesso sfogliando i libri di storia si vedono immagini di cliniche dove anche molti scrittori, come Thomas Mann, andavano per curare una malattia corporea, ma soprattutto per rigenerare lo spirito. E ti viene da dire che non esistono più luoghi così. Oggi ci sono gli ospedali o le beauty farm, distanti anni luce, ma non ci sono strutture in cui la bellezza faccia da balsamo alla malattia, mentre la malattia stessa contribuisca a far evolvere il concetto di bellezza del corpo, come se non fosse solo un danno, ma una seconda opportunità.

Per arrivare alla clinica Nirem di Mezzaselva di Roana (Vicenza) perduta in mezzo ai boschi dell'altipiano di Asiago, Giorgio Rizzato, medico e docente di Psicologia clinica all'università di Padova, affronta ogni volta una serie infinita di tornanti, anche rallentando di parecchio a volte, perché è possibile che davanti all'auto si pari una coppia di oche, degne di Beatrix Potter. Eppure Rizzato con la sua auto non sta entrando in un libro di fiabe, al contrario, si sta dirigendo verso un centro che sta per ambire all'eccellenza nel campo delle malattie neurologiche e ortopediche.

Come mai questo accostamento medico? «C'è una ragione molto intima. Sorta negli anni Trenta come sanatorio, dopo la guerra la clinica si specializzò in malattie delle ossa» racconta Giorgio Rizzato. L'istituto elioterapico era nato per curare persone affette da tubercolosi e bisognose di lunghi periodi di degenza. Fra il '43 e il '45 venne riadattato a ospedale militare: i letti servivano ad accogliere i soldati feriti, italiani, tedeschi, ucraini, russi e (clandestinamente) anche ex prigionieri Alleati e partigiani. Una storia importante che ora sembra morta e sepolta in mezzo alla quiete di quei luoghi incontaminati. Le oche sculettano lente, ma il grande caseggiato, che odora di fresca ristrutturazione, già si fa vedere tra le macchie di abeti, al punto che un amico di Rizzato l'ha battezzato «la clinica nella foresta nera». «Se non fosse per questo ospedale io non sarei nato, perché mia madre soffriva di una particolare patologia ossea che le impediva di avere figli. Dopo nove anni di cure qui, a metà degli anni Cinquanta partorì mia sorella e me. Da questa storia scaturì la mia promessa: un giorno farò in modo che questo ospedale diventi un centro d'eccellenza». Fatiscente e in disuso: questa la fine che era toccata al vecchio sanatorio che, tra i suoi numerosi usi, è stato anche sede distaccata dell'ospedale civico di Vicenza. La struttura viene presa in mano da Rizzato circa tre anni fa. Per un triennio lavorano solo i poliambulatori, poi l'anno scorso, ad agosto, l'apertura alle degenze con una quarantina di posti letto, un'équipe di altrettante persone tra personale medico e infermieristico. Tre piani completamente nuovi. Due palestre di riabilitazione, una piscina interna, un piccolo orto botanico, una terrazza mozzafiato con vista sull'Altopiano di Asiago: montagne e valli a perdita d'occhio. Distante dal resto del mondo, chi sceglie di venire a curarsi qui, lo decide anche perché sa che il genius loci è una medicina da non sottovalutare.

«Siamo gli unici in Italia ad avere un esoscheletro in grado di fare camminare le persone in carrozzina» racconta Rizzato entrando in una delle palestre dove alle sue parole stanno seguendo i fatti. L'esoscheletro è una protesi bionica indossabile che consente a chi ha perso l'uso delle gambe di rimettersi in piedi e tornare a muoversi. Come suggerisce la parola stessa, un esoscheletro è una struttura robotica che sostiene il corpo dall'esterno, progettata e sperimentata in campo medico per fronteggiare casi di disabilità permanente e temporanea. Un lavoro di fine ingegneria, realizzato dall'inizio del 2016, dall'azienda di meccanica ed elettronica Mes di Roma in un progetto che è nato da un team di propri ingegneri e tecnici. Dietro all'apparecchio, c'è un complesso lavoro di squadra che ha coinvolto anche il professor Homayoon Kazerooni dell'Università di Berkeley. «Ora l'importante è arrivare al protocollo Nirem di Mezzaselva, che contempla un progetto di riabilitazione totale. La persona che entra qui sa che le vengono dedicate almeno due ore mezza di riabilitazione giornaliera, intesa in senso globale, sia dal punto di vista ortopedico, che neurologico. Nessun ospedale oggi è in grado di fare questo. La persona stessa è il nucleo centrale del suo star meglio, del ritrovare, dopo un periodo di malattia, un senso di pace e di benessere. Nirem sta entrando nel cuore di molte persone del Veneto, e non solo, tanto è vero che i nostri ospiti, non mi piace chiamarli pazienti, ritornano». E visto che nel concetto di riabilitazione è insito quel principio olistico per cui mente, corpo, psiche creano salute quando sono in perfetto equilibrio, gli ospiti di Nirem ritornano anche per fare mostre d'arte o serate di letture letterarie a seconda delle inclinazioni di ognuno. Quell'odore di cera intonsa, nuova di zecca, si diffonde per l'intera struttura dove sembra impossibile di incontrare un ammalato. Tutto è avvolto nella pace e nel silenzio, come le mucche al pascolo che si vedono da una delle finestre. Un investimento di 2 milioni e mezzo di euro, tre anni di lavori, il coinvolgimento di un selezionato personale medico e infermieristico fanno della clinica di Mezzaselva un complesso di cura che in fieri potrebbe rappresentare un esperimento del tutto nuovo nel panorama ospedaliero nazionale. In uno scaffale ci sono scatole di occhiali che servono a far tornare la memoria, per coloro a cui è stato diagnosticato un principio di Alzheimer. Nella piccola serra dell'orto botanico una signora cura pazientemente una piantina. E in un cassetto è conservato qualche referto medico degli anni Trenta, battuto a macchina.

«È importante capire che oggi c'è bisogno non solo di ambienti di cura, ma di strutture in cui una persona entra per riparare i danni rimasti, dopo che negli ospedali le cure sono terminate. Da questo punto di vista vorrei che Nirem diventasse un Istituto di ricerca internazionale».

Il cammino è ancora lungo, forse lento, ma il dottor Rizzato, salendo i tornanti, ha imparato dalle oche come si cammina in montagna per raggiungere qualsiasi meta.

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