Il medico non potrà mai diventare killer del suo paziente

Non si erano neppure ancora placate le polemiche suscitate qualche tempo fa da alcune dichiarazioni di Umberto Veronesi favorevoli all'eutanasia che già il dibattito è stato riacceso dalle richieste di Piergiorgio Welby e dal successivo messaggio del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha avuto come esito - quello sperato dai fautori dell'eutanasia - di aprire sul tema una discussione in Parlamento. Tutta la compassione che si può provare per singoli casi disperati non deve farci dimenticare quello che è i1 nodo fondamentale lasciato irrisolto dalle proposte favorevoli all'eutanasia asia e sul quale intendo soffermarmi. Possiamo considerare moralmente e giuridicamente accettabile oltre che socialmente sostenibile, l’idea che l'azione dei medico si spinga sino al punto estremo di dare la morte al suo paziente?
Già sotto il profilo dei rischi sociali mi sembra terribilmente pericoloso il fatto che la morte venga sistematicamente presa sotto tutela della professione medica. L'esperienza olandese negli anni passati ha, tra l'altro, dimostrato che i medici, una volta abituati a considerare come vera routine l'intervento eutanasico, tendono a praticare suddetto intervento anche senza aver ricevuto una richiesta esplicita e ripetuta. Dai rapporti di una Commissione olandese istituita nel 1990 emergeva che in un numero di casi intorno ai mille l'anno il medico eseguiva l'intervento anche senza aver ricevuto una tale richiesta. Insomma, il fatto è che conferendo al medico anche questo compito estremo gli si lascia una libertà d'azione sempre più ampia e non facilmente controllabile: aumenta in misura considerevole il suo potere discrezionale e si corre il rischio che, per rispettare la scelta consapevole di alcuni pazienti che chiedono dì morire, si metta a repentaglio l'autonomia di molti altri rispetto alla morte. Si obietterà che si tratta di effetti perversi che comunque possono essere superati da più adeguati controlli. Resterebbe comunque aperto un problema: è eticamente lecito per il medico spingersi a tanto? L'azione che qui gli viene richiesta - uccidere il suo paziente - trascende di gran lunga le sue competenze e la sua professionalità. Egli può valutare l'incidenza di una cura di fronte ad una situazione disperata ed eventualmente propendere per la sua non continuazione; egli può pure accelerare la fine del proprio paziente, quando la situazione è ormai disperata e gli somministra dosi crescenti di farmaci antidolorifici; egli può anche spingersi a consigliare e, al limite, praticare la sospensione dell'uso di tutti quei mezzi con i quali un paziente viene mantenuto in una condizione di vita vegetativa, ma tra le sue competenze non può essere inclusa anche quella di uccidere il malato terminale cosciente.
Quell'azione infatti è in radicale contrasto con il principio fondamentale della professione medica in quanto tale. Non intendo certo contestare che da tempo ormai i confini della medicina si siano allargati sino a includere funzioni che vanno ben oltre gli antichi compiti del guarire e dell'alleviare le sofferenze. Mi chiedo però se tra queste nuove funzioni si possa anche includere quella di porre fine alla vita dei propri pazienti con una iniezione letale. C'è nella professione medica un contenuto minimo, un resto insopprimibile di invarianza, che costituisce la sua più intima essenza. Del resto questo vale anche per altre professioni: un giudice che non fosse imparziale fallirebbe lo scopo della sua professione, così come un funzionario corrotto o uno sportivo dopato. Così per il medico il suo compito fondamentale resta quello di servire alla vita dei malati e pertanto ben difficilmente fra le sua funzioni si potrà pure far rientrare un'attività che è esattamente contraria, come è quella di procurare loro la morte.


C'è insomma qualcosa di connaturato all'attività del medico che ci impedisce di considerare che egli possa trasformarsi nel killer dei suo paziente. E, in generale, dovrebbe essere un bene per tutti i pazienti quello nessuna legge dello Stato lo autorizzerà mai a diventarlo.

Filosofia del diritto
Università di Genova

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