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"La memoria di Borsellino offesa dalle trame dei fratelli"

Dure accuse ai familiari del giudice ucciso. Il figlio del procuratore assassinato, Michele Costa: "Salvatore si vede al bar con Massimo Ciancimino. E Rita si ricorda del papello 17 anni dopo"

Cosa significhi perdere un familiare per mano mafiosa, il padre Gaetano, procuratore di Palermo trucidato da Cosa nostra il 6 agosto del 1980, l’avvocato Michele Costa, suo figlio, lo sa bene. Ed è per questo che alcuni recenti episodi lo hanno «turbato». Numero uno, il ricordo tardivo di Rita Borsellino, la sorella del giudice ora eurodeputata del Pd, che qualche mese fa ha rivelato: «Mio fratello mi disse che aveva sentito parlare del papello». Numero due, un a dir poco singolare faccia a faccia avvenuto giovedì scorso al bar di fronte al palazzo di Giustizia di Palermo: allo stesso tavolo l’altro fratello di Borsellino, Salvatore, e Massimo Ciancimino, il figlio di don Vito, il sindaco mafioso del sacco di Palermo che sta riempiendo verbali su verbali sul fronte della presunta trattativa Stato mafia. Perché? E perché dopo 17 anni si sta tentando di legare la strage di via D’Amelio alla presunta trattativa? Costa, in un’intervista, si è detto preoccupato: «Il tentativo di costruire una presunta causale con questa famigerata trattativa non solo non regge, ma probabilmente viene orchestrato per coprire qualcosa di più serio, come la vera ragione dell’uccisione di Borsellino».
Avvocato Costa, lei ha visto il faccia a faccia tra Salvatore Borsellino e Massimo Ciancimino...
«Eh sì. Stavo uscendo da palazzo di Giustizia, ho incontrato una giornalista che mi ha detto: “Michele, vuoi vedere uno scoop? Al bar di fronte ci sono, circondati dalla scorta, Salvatore Borsellino e Massimo Ciancimino. Era vero. Il giorno dopo, sempre a palazzo di Giustizia, incontro un prestigioso avvocato penalista che sconvolto mi dice: “Ieri uscendo dal Tribunale ho assistito a un vilipendio di cadavere”. E mi racconta di aver visto Borsellino e Ciancimino con un giornalista».
Lei si è detto «turbato» per questo. Perché?
«Ho conosciuto direttamente e frequentato per anni Paolo Borsellino, e che oggi si usi il suo sacrificio in questo modo mi sembra terribile».
In quale modo?
«Si stanno creando tanti polveroni sul perché Borsellino è stato ammazzato. E quando si creano polveroni è per celare la verità. Non è serio agganciare alla trattativa la morte di Paolo Borsellino. Se Borsellino avesse davvero saputo della trattativa, o lo avrebbe raccontato ai suoi collaboratori o avrebbe aperto un procedimento penale. Oppure ancora bastava che raccontasse qualcosa, anche come mera ipotesi, a qualche giornalista. E invece niente».
Ma ora si stanno moltiplicando i ricordi tardivi...
«Sono turbato perché è un’esperienza diretta mia e della mia famiglia. Ricordo come se fosse ieri, e sono passati 30 anni, lo sforzo mio, di mia madre, di mia sorella, di ricordare tutto, persino le espressioni del viso di mio padre, e di correre subito a raccontarlo al magistrato. E ora Rita Borsellino dice che rileggendo gli articoli di stampa, dopo 17 anni, si ricorda che il fratello le disse del papello? Ma andiamo...».
E sulla trattativa uno dei testimoni principali è Massimo Ciancimino.
«Per me la trattativa è una bufala. Così come la stanno prospettando è un’operazione di polizia fatta con mezzi forse non corretti ma che da che mondo è mondo si sono sempre usati. Quanto a Massimo Ciancimino, non riesco a capire, francamente, l’atteggiamento dei pm che lo interrogano. Non può dire che lui era il contatto tra suo padre Vito e criminali come Provenzano e non ricevere neanche una piccola imputazione per favoreggiamento aggravato, anzi fare il mafiologo. Perché nessuno chiede a Massimo Ciancimino cosa sa di quello che è accaduto a Palermo tra il ’79 e l’83? Perché non gli si chiede, visto che sa tanto, degli omicidi di Reina, Mattarella, La Torre...».
Nel 1980 fu ucciso suo padre...
«Mio padre è uno di quelli che si è sempre preferito cancellare».
Lei ritiene che Ciancimino non sia credibile?
«Gli crederò quando restituirà il maltolto».
E delle dichiarazioni di Spatuzza cosa pensa?
«Prima di risponderle vorrei precisare alcune cose. Non dobbiamo dimenticare che dietro tante polemiche e teatrini mediatici ci sono decine di morti, veri e senza giustizia. La ricerca della verità è faticosa, grigia, non si fa attraverso grandi spettacoli mediatici. E la verità non consente scorciatoie, si può cercare solo nei processi».
Torniamo a Spatuzza. Cosa pensa delle sue accuse al premier Berlusconi?
«Ritengo che Berlusconi abbia fatto e faccia del male al Paese per ragioni politiche e di immagine, ma certo non per quel che dice il primo che capita. Lo dicevo 15 anni fa, attenzione con i pentiti, perché senza riscontri un giorno potrà accadere che ne arriva uno che sa un particolare in più, e allora a perdere la faccia è la giustizia. Spatuzza mi lascia molto perplesso, le sue mi sono sembrate chiacchiere da caffè. E poi era un personaggio marginale, in carcere faceva lo scopino. Il fatto che Graviano, che già era di grado più elevato, fosse cosi vanitoso da cercare di farsi bello con un gregario e da vantarsi di conoscere Berlusconi mi pare inverosimile. E poi, dove sono i riscontri? Credo che ci troviamo davanti a una situazione davvero inquietante comunque si evolva: se Graviano tace non cambia nulla, ma se Graviano, sempre senza riscontri, conferma, la situazione si fa grave. Nulla potrebbe liberarci dal dubbio che Graviano e Spatuzza facciano un gioco perverso».
Quale?
«Se io ergastolano ho la prospettiva di una nuova vita da miliardario - lo Stato è sempre stato generoso con questi soggetti - perché non dovrei dire quello che so e pure quello che non so? Spatuzza ha detto di essersi anche basato sulla lettura dei giornali.

E il fatto che Graviano, rispetto a Spatuzza, abbia un atteggiamento possibilista mi preoccupa».

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