Cronache

«La mia vita per il Doria»

Alessandro Massobrio

I santi dicono che le coincidenze non esistono e dunque non può essere una coincidenza ma un segno il fatto che tanti fatti si intersechino e finiscano di sovrapporsi. Mi riferisco ai sessant'anni di vita della Samp (la fusione tra Andrea Doria e Sampierdarenese che sono stati festeggiati ieri a Palazzo Ducale), alle vicende del calcio-scandalo, che vedrà oggi il confronto tra Borrelli e Riccardo Garrone e, ultimo ma non ultimo, il compleanno di uno dei più antichi tifosi blucerchiati. Quel Giordano Bruno Orsatti che oggi supera, con spirito e memoria da ragazzino, il traguardo delle 93 primavere, ma sa volgersi indietro per ricordare oltre le primavere anche gli inverni. Senza i quali le primavere non sarebbero tali. Il segno, a cui mi riferivo prima, è quello di sempre. Il segno della semplicità e della fede sportiva pura e autentica, senza inquinamenti di varia natura, che coloro che amano il gioco più bello del mondo non riescono neppure a concepire. Tanto è vero che non sono e non saranno certo gli scandali a far cambiare bandiera a chi ad una certa bandiera ha legato la propria intera esistenza.
Così la pensa il signor Orsatti quando mi apre la porta della sua casa di Staglieno e così la pensa quando mi accomiato da lui. Dopo aver ascoltato non solo e non soltanto le alterne vicende della vita di un tifoso di lungo corso ma le peripezie di una esistenze vissuta tra guerra e pace. In anni in cui l'esistenza stessa era talmente precaria e appesa all'imponderabile volontà degli dei che il clamore sollevato dagli attuali illeciti sportivi desta soltanto un distaccato sorriso.
Dunque, ci racconti qualcosa di lei, della sua vita di uomo, prima ancora che di tifoso?
Il signor Giordano Bruno Orsatti ci guarda quasi meravigliato. Si stupiscono - lui e sua figlia Paola, che gli siede a fianco - che la loro vita possa destare tanto interesse. È una vita come tante. Fatta delle sofferenze e delle gioie di tanti. Ma se proprio insistiamo...
«Sono nato in Vico Dritto Ponticello, di rimpetto alla casa di Colombo e ci ho passato tutta la mia giovinezza, sino ai 18 anni. Poi dopo la demolizione voluta dal fascismo, mi sono spostato in via Madre di Dio. Lì ho fatto una bella sfilza di anni di militare, quattro richiami ed uno di leva. Durante la guerra sono stato militare in Calabria. Avrei dovuto partire per l'Africa Orientale e invece sono poi stato richiamato nel '39 come guardia di frontiera sulle Alpi, sul Colle della Maddalena, e lì sono rimasto sino alla fine della guerra».
Che cosa ricorda di quegli anni? Qualche episodio...
«Altrochè! Mi son capitate tante cose che a raccontarle la farei lunga».
Non si preoccupi
Il signor Orsatti guarda la propria figlia quasi imbarazzato, gli pare impossibile che alla gente interessino tutte le avventure e le disavventure che gli sono piombate addosso, ma visto che proprio insistiamo...
«Tutto è cominciato l'8 settembre. Mia moglie era rimasta qui a Genova. Ho ottenuto il permesso di venirla a prendere e portarla con me in montagna, a Sambuco, vicino a Cuneo. Solo che mia moglie era incinta, già all'ottavo mese. E come se non bastasse, sa che cosa mi capita? Vengo preso dai tedeschi come ostaggio».
Un autentico disastro!
«Di più, una tragedia. Ci hanno caricato su un camion per portarci in Germania. A questo punto, nessuno è riuscito più a trattenere mia moglie. Appena ha sentito al paese che stavano per portare via gli ostaggi, si è precipitata, per quanto glielo consentivano le condizioni fisiche, verso la caserma. Arriva vicino al camion e si aggrappa allo sportello. Grida il mio nome. Con un balzo scendo giù e la soccorro. Appena in tempo. Era praticamente in deliquio, più di là che di qua e che stesse malissimo se ne accorse anche l'ufficiale tedesco».
Chi era?
«Un ufficiale delle SS, che però si comportò nei nostri confronti con molta umanità. Si mise a cercare un medico, ma non ce ne'erano a disposizione. O meglio, un medico c'era ma si guardava bene, in quel momento, di uscire allo scoperto. Il tedesco lo minacciò, il medico infine decise di prestarci soccorso. Caricammo mia moglie su una lettiga e, preceduti dal medico e seguiti dal tedesco, riparammo sotto il primo tetto a disposizione. L'ufficiale, intanto, passandomi accanto, mi infilò nel taschino della giacca un biglietto. Un frammento di una carta geografica, con l’autorizzazione a non partire per la Germania, dal momento che dovevo assistere mia moglie. La quale si riprese presto, dopo un’energica frizione di aceto sulle tempie».
Un gesto generoso.
«Senza dubbio. Pensi che conservo ancora quel pezzo di carta. Comunque, era destino che quel paesino di montagna dovesse veder nascere i miei due figli. Prima il maschio (tifoso come me di comprovata fede blucerchiata) e poi la femmina. Che venne anche lei alla luce in circostanze drammatiche».
Vale a dire?
«Beh, per sopravvivere mi ero adattato a fare il boscaiolo, ma le ostilità non erano ancora finite. Sotto la minaccia di imminenti bombardamenti, nell'imminenza del parto, decisi di trasportare moglie e figlio su una altura, chiamata la Ciardoletta, che dominava il paese. E tutto questo mentre mia moglie dava chiari segni di dover partorire da un momento all'altro».
Come se la cavò?
«Grazie al buon cuore di una levatrice, follata da Piacenza. Ci accompagnò sino alla Ciardoletta, per lasciarci subito dopo. Ma assicurandomi di tornare nel corso della notte, se la situazione fosse stata calma».
Quando tornò a Genova?
«Pochi mesi dopo. Tanto che potei assistere alla fusione tra Andrea Doria e Sampierdarenese. C'è intanto da dire che io sono sempre stato tifoso della Doria. Già da piccolo non mancavo mai ad una partita casalinga della mia squadra del cuore. A volta, se non avevo soldi in tasca, mi affiancavo a qualche coppia di adulti, per passare come loro figlio e quindi non pagare il biglietto».
Di che tipo è il suo tifo?
«Di tipo molto calmo e compassato. Non sono e non sono mai stato un ultras. Il mio è un tifo che predilige la qualità del gioco, non ho il paraocchi. Apprezzo gli avversari quando sono davvero bravi».
Perché la Samp e non il Genoa?
«Ho assistito spesso a partite del Genoa. Che devo dirle? Forse è una questione di stile, fatto sta che le mie preferenze sono sempre andate alla squadra blucerchiata».
E allo stadio ci va ancora?
«Vorrei ancora andarci, ma i prezzi degli abbonamenti ultimamente hanno raggiunto cifre davvero inavvicinabili. Comunque, l'ultima volta che ho avuto occasione di accostarmi ai miei campioni è stato il 7 maggio del 2001, nel corso del Mancini day. In quell'occasione sono stato sorteggiato per stringere la mano a Cerezo e Vialli».
Che cosa ne pensa di questa nuova tegola che sembra aver colpito la Samp nella persona del presidente Garrone?
«Troppo denaro, troppi soldi, poca serietà. Questo non significa che un tifoso vero possa comunque perdere la propria fede. Io alla Samp ho dedicato tutta la vita e non sarà di certo uno scandalo a farmi ricredere. E se non ci crede, legga qui».
E mi consegna una poesia, che da buon cronista rendo nota, senza alcuna chiosa o commento. «Fortuna che ci sei / Squadra del mio cuore./ Sei stata momenti di gioia / in questi lunghi anni./ L'entusiasmo della squadra / e dei tifosi / mi regala ancora / emozione e vita».
Sono versi d'amore e come tali vanno letti in silenzio.

Senza commenti.

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