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Il migliore alleato del premier: risolve grane e dice sempre sì

Dallo scontro con le toghe ai nuovi equilibri nella maggioranza, gli "aiutini" del presidente stanno salvando la faccia al governo

Il migliore alleato del premier: risolve grane e dice sempre sì

C'è chi accosta il suo stile a quello di Francesco Cossiga prima fase, silenzioso e accigliato, ma il paragone non può fare piacere a Sergio Mattarella. La Democrazia cristiana era uno stato dentro lo stato, le distanze politiche tra le correnti erano profonde e lui apparteneva alla sinistra. Ne porta ancora tutti i segni. Ma il confronto non regge a nessun livello. L'attuale presidente della Repubblica non si trasformerà mai in un picconatore, non sarà nemmeno un pasdaran dell'antiberlusconismo come Oscar Luigi Scalfaro o un kingmaker, interventista anche su dettagli delle leggi, quale è stato Giorgio Napolitano.

Insomma, se Matteo Renzi cercava una sponda ha fatto centro. Convesso con il concavo e viceversa, l'inquilino del Quirinale è il migliore alleato di un premier che pretende il monopolio della ribalta, non ama chi gli ruba i riflettori né chi si mette di traverso.

Mattarella, dopo una vita da politico dal carattere mite e posizioni ferme, una volta capo dello Stato ha scelto un ruolo da pompiere. Stemperare conflitti e prevenirli è la priorità. Garante delle istituzioni, sicuramente, ma anche crisis manager a beneficio del governo.

Tirato in ballo direttamente dall'esecutivo, ad esempio, recentemente, per evitare gli strascichi dello scontro con i giudici. Se il premier Renzi si sta spendendo in tutte le sue uscite pubbliche per ostentare una fiducia nella magistratura che probabilmente non ha, Matterella cerca di ricucire gli strappi tra politica e toghe e anche quelli tra gli stessi giudici, provocati dalle uscite del presidente dell'Anm Piercamillo Davigo e dall'intervista poi smentita dal membro del Csm Piergiorgio Morosini (Magistratura democratica) sulla necessità di fermare Renzi con il prossimo referendum costituzionale.

Mattarella incontrerà la giunta dell'Associazione nazionale magistrati il 30 maggio e lì darà delle indicazioni, che non potranno che essere di rispetto dell'autonomia del potere giudiziario. Ma dovrebbe anche offrire una sponda al vicepresidente del Csm (il presidente è lo stesso capo dello Stato) Giuseppe Legnini, accennando all'imparzialità dei giudici rispetto alla politica. Quindi anche sul referendum sulle riforme che si terrà in ottobre e che il premier e segretario del Pd ha trasformato in un voto sul suo esecutivo. Se Mattarella non dirà niente, resteranno agli atti le parole pro governo di Legnini, esponente Pd e vice di Mattarella al Csm. E sarà come se il capo dello Stato avesse invitato Davigo e gli altri a non prendere posizione sui temi che non gli competono.

Un ruolo di moral suasion, che ha anche due obiettivi di medio periodo: la nomina del Procuratore di Milano e la riforma della prescrizione. Fronti giudiziari in cui le competenze delle toghe e della politica si incrociano. Impossibile portare a casa un risultato con questo clima e l'unico aiuto a Renzi può venire dall'autorità terza del Colle.

Per ora Mattarella viene criticato su un tema più politico. Non ha chiamato al colle il premier Renzi quando Ala, il partito di Denis Verdini, è di fatto entrato nella maggioranza. Il senatore Ciro Falanga giorni fa ha partecipato a un vertice dei partiti che sostengono il governo proprio sulla prescrizione. L'ingresso di Alleanza liberalpopolare-autonomie ridefinisce la maggioranza, ma il passaggio al Quirinale, non c'è stato. Renzi non ha comunicato al Quirinale la novità, il Colle non ha chiesto chiarimenti, né tantomeno un voto di fiducia. Mercoledì, quando sulle unioni civili Ala ha votato con la maggioranza, il capogruppo di Forza Italia alla Camera Renato Brunetta ha sollevato ufficialmente il nodo Quirinale: Renzi «salga a Colle, spieghi a Mattarella i mutati assetti maggioranza e poi chieda nuova fiducia a Camere».

I rapporti tra i due poteri dello Stato sono talmente distesi che nei media ha fatto notizia un appunto, di metodo più che di merito, sulla nomina di Marco Carrai, amico del premier, a super capo della sicurezza informatica. I giornali hanno parlato di «scontro» tra capo dello Stato e del governo. In realtà la nomina dell'amico fiorentino è rinviata, con una ridefinizione del ruolo: consulente di palazzo Chigi. Staff del premier. Ma la sostanza, cioè le competenze, non cambia.

Nel curriculum di Mattarella, per il momento, non ci sono leggi rinviate in Parlamento. Pochissimi gli appunti che il Quirinale fa arrivare al governo sul merito dei provvedimenti, anche se è noto che gli uffici legislativi dei ministeri sono stati soppiantati dai collaboratori diretti di Renzi a Palazzo Chigi. Con il risultato che spesso i testi nascondono errori e incongruenze. Basti pensare al lungo parto del provvedimento per il canone Rai in bolletta. Sulle unioni civili Mattarella ha dato un paio di indicazioni, facendo cancellare le parti della legge che richiamavano il matrimonio, ma solo perché erano di dubbia legittimità costituzionale.

Le cronache del febbraio scorso parlano di un ruolo svolto da Mattarella in una delicata partita internazionale. Cioè nel ricucire i rapporti con gli Stati Uniti dopo le frizioni sull'intervento dei militari italiani in Libia. Il capo dello Stato, in missione negli Usa con il ministro degli esteri Gentiloni, sostenne la posizione dell'esecutivo: l'intervento solo se il governo libico chiederà aiuto alla comunità internazionale.

C'è da scommettere che ci sarà pieno accordo anche in seguito. Quando il dibattito sul referendum costituzionale entrerà nel vivo. Una mano a Renzi il presidente della Repubblica l'ha già data in una situazione simile, il voto sulle trivelle. Il capo dello Stato è andato a votare dopo le 20.30, rompendo una tradizione che vuole il presidente sempre tra i primi a entrare nel seggio. Solo Scalfaro fece una scelta simile nel 1995. Comportamento poco neutrale in una consultazione dove il dato determinante è il quorum.

Sui referendum costituzionali il ruolo del Quirinale è scontato. Sostegno alle riforme. Ha già lodato pubblicamente quella del Senato. Resta da capire come farà pesare il suo consenso e se chiederà ai magistrati di non intervenire.

Il referendum che il presidente del Consiglio ha trasformato in un plebiscito sulla sua persona e sul suo governo, non ha bisogno di quorum, ma i politologi sono concordi nel dire che per vincere Renzi ha bisogno di una partecipazione superiore al 50%. Chi non lo vuole più a Palazzo Chigi è abbastanza motivato da andare a votare, chi lo sostiene tiepidamente, probabilmente no e potrebbe essere tentato dall'astensione. Un segnale di Mattarella alla vigilia del voto, ad esempio un appello al diritto-dovere dei cittadini a esprimersi con scheda e matita, sarebbe un grande assist al governo. Oppure, in silenzio, Matterella potrebbe limitarsi ad andare a votare la mattina molto presto dando un segnale.

Discreto ma chiaro, come quello sulle trivelle.

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