Rubrica Cucù

Mille ragioni per tagliare le Regioni

Per colpire la casta e i costi esagerati del settore pubblico manca il corag­gio civile e radicale di abolire le Regioni

Per colpire la casta e i costi esagerati del settore pubblico manca il corag­gio civile e radicale di abolire le Regioni. Lo scrivo da tempo. Sono la vergogna d’Italia, persino più del Parlamento (da dimezzare). Il marcio emerso ora è solo la cresta, il costo vero è il raddoppio di tut­to: ci permettiamo il lusso di mantenere un doppio Stato, uno centrale e uno fede­rale.

Le Regioni costano l’ira di Dio, molti­plicano il ceto politico e il finanziamento pubblico ai partiti, dispongono di poteri esagerati, divorano risorse, duplicano la burocrazia statale. Anziché accanirsi con gli spiccioli delle Province, è lì che bi­sogna tagliare.

L’inizio del declino italiano,del suo in­debitamento e della crescita vertiginosa della partitocrazia, coincide con la nasci­ta delle Regioni, 1970. Se si vuol risanare il Paese, restituite sovranità e competen­ze allo Stato, anche in materia di sanità e pubblica istruzione, ripristinate il ruolo delle prefetture, magari adottando siste­mi selettivi più rigorosi istituendo una scuola superiore dei dirigenti ammini­strativi e prefettizi. Tra lo Stato e i Comuni basta un solo en­te intermedio: le Province regionali. Ce ne sono in Italia meno di una cinquanti­na e corrispondono alla storia e alla fisio­nomia del nostro territorio. Sostituireb­bero Province e Regioni con strutture più incisive e snelle, con compiti delimi­tati.

Una riforma necessaria, risparmiosa e ragionevole, perciò non si farà mai.
Non sono in grado di farla né i partiti né i tecnici.

E allora chi? Chi?
La domanda risuona nel vuoto.

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