Controstorie

Missione italiana in Niger I risvolti di una figuraccia

L'intervento italiano non ha mai preso il via E la nostra avanguardia resta ferma a Niamey

Fausto Biloslavo

L'intervento militare italiano in Niger è una missione fantasma partita male, che sta proseguendo peggio in una specie di stallo soprattutto politico. «A Roma tutti sostengono che al momento hanno altro di più urgente a cui pensare», spiega una fonte qualificata de il Giornale riferendosi al governo uscente e a quello che, prima o poi, dovrebbe arrivare.

Il risultato è che una quarantina di soldati del team di ricognizione italiano, accampato nella base americana di Niamey, la capitale del Niger con alla testa il generale di brigata Antonio Maggi, fanno ancora la spola fra i ministeri locali per predisporre la missione. E al massimo organizzano l'arrivo di 27 tonnellate di medicinali per la scassata sanità locale come donazione. Il primo C-130 decollato da Pisa era arrivato in aprile e il secondo il 28 maggio. Un modo come un altro per tenersi buono il governo del Niger, che fomentato dietro le quinte da Parigi, ha alzato fin dall'inizio le barricate contro la missione italiana. «Eppure il contingente francese presente sul terreno ha fatto chiaramente capire che non vede l'ora di venire sgravato dai compiti di addestramento delle truppe locali quando gli italiani diventeranno operativi» spiega la fonte de il Giornale.

In teoria la pianificazione prevedeva un primo dispiegamento a giugno di almeno altri 120 uomini fra la capitale e Agadez, la città principale a 700 km dal confine libico. L'intervento è stato approvato dal Parlamento in gennaio dando il via libera a 470 uomini, 130 mezzi e 2 velivoli. Il costo della Missione bilaterale di supporto in Niger (Misin) è di 40 milioni di euro. Il mandato è addestrare e rafforzare le forze nigerine «per l'incremento di capacità volte al contrasto del fenomeno dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza». E i soldati italiani, teoricamente, possono «concorrere alle attività di sorveglianza delle frontiere e del territorio». Un risvolto «combat» dell'operazione, che punta non solo al contrasto del terrorismo che sta infestando il Sahel dopo la caduta del colonnello Gheddafi. Il Niger è la principale porta d'ingresso dei migranti provenienti dall'Africa sub sahariana. E crocevia di traffici di contrabbando a cominciare dalle armi degli arsenali libici. «L'operazione è stata pubblicizzata come una misura anti-immigrazione, ma il carattere predominante sarà di una missione di addestramento anti-guerriglia» sottolinea Paolo Quercia, direttore del centro studi CeNass.

Gli italiani hanno già individuato il terreno per mettere in piedi la base nella capitale, ma il vero impegno con tutti i 470 soldati sul campo inizierà, chissà quando, a ridosso del confine libico. L'unica certezza è che non chiederemo ospitalità al forte francese Madama, ma utilizzeremo una base delle forze locali.

La Francia ha dispiegato 4mila uomini nella regione del Sahel e Parigi non ha mai digerito il mancato appoggio militare italiano all'intervento contro le forze jihadiste in Mali del 2013, che stavano per conquistare il paese. Alla successiva operazione Barkhane stiamo indirettamente partecipando con appena 12 uomini che addestrano piccole unità di corpi speciali in Mali. Per la missione in Niger abbiamo aperto un'ambasciata a Niamey, ma a più riprese alcuni ministri nigerini, come quello dell'interno Mohamed Bazoum, ha addirittura smentito l'esistenza di un accordo sull'operazione rilanciato dai media francesi.

«L'Italia non può trascurare l'Africa, ma siamo sicuri che sia solo di addestramento e non di armi, munizioni e supporto diretto che i nigerini hanno bisogno, come i maliani che addestriamo a Bamako e i somali di Mogadiscio?» si chiede l'ex generale dei paracadutisti Marco Bertolini. Oltre ai francesi e un piccolo contingente tedesco sono presenti in Niger 800 militari americani. Il Pentagono sta costruendo una base da 110 milioni di dollari per i droni ad Agadez, che danno la caccia alle forze jihadiste.

Il Times di Londra ha evidenziato che la nostra missione ancora fantasma «riflette il punto di vista di Roma, che la frontiera desertica della Libia è il fianco meridionale dell'Europa, una porta di accesso per i migranti diretti verso il Mediterraneo, che va sigillato». Una stima per difetto indica che almeno 600mila migranti sono arrivati in Libia via Niger negli ultimi quattro anni. Fino al 2017 si registravano picchi di 6000-7000 persone dirette in Europa ogni settimana lungo il tragitto obbligato Niamey-Agadez-frontiera libica. Oggi il numero si è notevolmente ridotto a 2000-3000 al mese. Secondo Giuseppe Loprete, responsabile dell'ufficio dell'Onu per i migranti (Iom) in Niger il flusso si è invertito dallo scorso anno: 100mila migranti sono tornati nel paese dalla Libia, anche con i rimpatri delle Nazioni Unite, rispetto ai 60mila che hanno passato il confine per raggiungere l'Europa.

Nonostante queste buone notizie, l'area è tutt'altro che stabilizzata. I resti dello Stato islamico in Libia si sono spostati a sud lungo le rotte dei trafficanti di uomini esigendo un pizzo per il passaggio dei migranti. I francesi continuano a combattere la minaccia jihadista in Mali, che si è espansa in Burkina Faso e Niger. Però stenta a decollare lo sforzo militare congiunto per contrastare i terroristi nella delicata regione del Sahel composto da 5mila uomini di Burkina Faso, Chad, Mali, Mauritania e Niger.

Gli Stati Uniti hanno bloccato al Consiglio di sicurezza il finanziamento dell'Onu del contingente locale. Un motivo in più per far partire veramente la nostra missione fantasma contro il terrorismo jihadista e con particolare attenzione alle vie del traffico dei migranti che arrivano da noi.

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