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Mladic il «boia» sfida la Corte: «Ho solo difeso il mio popolo»

«Ho difeso il mio popolo, il mio Paese, ora sto difendendo me stesso» ha dichiarato il generale Ratko Mladic. Da ieri alla sbarra davanti la corte dell'Aia per la mattanza nell'ex Jugoslavia, l'ex comandante dei serbi di Bosnia punta a ribaltare le accuse di genocidio, crimini contro l'umanità e di guerra.
Il generale avrebbe voluto presentarsi in divisa. Non gli è stato permesso e ha dovuto accontentarsi di un cappellino da baseball, che poi si è levato mostrando la testa pelata, forse a causa della chemioterapia per un cancro del 2009. Completo grigio e cravatta a pallini, Mladic mostra i suoi 69 anni e la difficoltà nel movimento sulla parte destra del corpo, a causa di un ictus. Ieri è apparso per la prima volta davanti ai giudici dell'Onu, che gli hanno letto gli 11 capi d'accusa per la sanguinosa guerra in Bosnia dal 1992 al 1995. Non si è dichiarato nè innocente nè colpevole, sostenendo che avrà bisogno di molto tempo per leggere le 37 pagine di incriminazione ed i tremila documenti allegati. Si è limitato a scuotere la testa ogni tanto e a fare di no con il dito borbottando che si tratta di «bugie abominevoli e mostruose». All'inizio dell'udienza, seduto sul banco degli imputati, ha risposto con scherno quando gli si chiedeva di qualificarsi. «Tutto il mondo mi conosce... sono il generale Ratko Mladic» ha esordito l'uomo soprannominato il "boia" o il "macellaio" dalle sue vittime.
L'accusa gli imputa di aver assediato e terrorizzato Sarajevo, la capitale bosniaca per 43 mesi provocando la morte di 12mila persone. I suoi uomini stritolavano la città, ma difendevano anche il quartiere serbo di Grbavica, oltre il ponte vicino al museo dato alle fiamme, sottoposto a bombardamento e tiro dei cecchini degli avversari.
Per molti suoi compatrioti Mladic alla sbarra dimostra solo la partigianeria del tribunale internazionale, che prima di aprire gli occhi sugli altri tagliagole croati, bosniaci musulmani e kosovari ci ha messo troppo tempo. Due terzi dei criminali di guerra accusati da L'Aja sono serbi. Anche sulla strage di Srebrenica, dove furono massacrate ottomila persone sepolte in fosse comuni, Mladic ha la sua versione dei fatti. Secondo il figlio Darko «tutto è stato fatto alle sue spalle». Il generale gli ha raccontato che lui avrebbe cercato «di evacuare innanzitutto i feriti, le donne e i bambini, poi i soldati». Molte donne e bambini si salvarono, ma quasi nessun miliziano bosniaco fatto prigioniero tornò a casa. Non è escluso che per difendersi Mladic addossi gran parte delle responsabilità a Slobodan Milosevic, l'ultimo zar dei Balcani che sognava la Grande Serbia e finì all'Aia.
Durante l'udienza di ieri l'imputato per genocidio ha ottenuto di parlare a porte chiuse dei suoi problemi di salute, veri o presunti che siano. In uno scatto d'orgoglio, però, ha chiesto alla corte: «Non voglio venir aiutato a camminare come se fossi un vecchio fragile e cieco. Se ne avrò bisogno lo chiederò».
Poi ha sostenuto, in un abbozzo di difesa dopo 16 anni di latitanza, che «non ho ucciso croati in quanto croati, ma solo difeso il mio Paese e voglio restare vivo fino al giorno in cui tornerò un uomo libero». La prossima udienza è stata fissata dal giudice Alphonse Orie al 4 luglio.
In aula c'era anche Munira Subasic, che a Srebrenica ha perso il figlio di 18 anni e il marito. «Voglio vedere se ha ancora gli occhi iniettati di sangue - ha spiegato la vedova -. Nel 1995 l'ho pregato di lasciar andare almeno mio figlio. Lui mi ascoltò e mi promise di farlo. Gli avevo creduto. Sedici anni dopo sto ancora cercando le ossa dei miei cari».
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