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Moglie uccisa 21 anni dopo il figlio Il giallo dell’uomo dei due delitti

Brescia, morti identiche. Assolto per il primo omicidio, è in cella per il secondo

nostro inviato a Nuvolera (Bs)
Il cortile dove allora giocava Cristian è sempre lo stesso. I bambini si inseguono e si azzuffano sotto le pareti marroni e anonime di quella palazzina tirata su col piano case di Fanfani. Una signora con le ciabatte rosse e lo sguardo diffidente stende i panni e intanto li sorveglia: «Io abito qui dall’80, conosco i Lorandi da sempre. Erano una famiglia normale, normalissima, come tutte le altre». Erano, all’imperfetto, non una ma due volte: il 28 aprile 1986 Cristian, 10 anni, scomparve d’incanto. Il giorno dopo fu ritrovato strangolato col filo di ferro sul monte Maddalena. Una tragedia senza aggettivi. Ma il 10 febbraio di quest’anno la maledizione ha bussato per la seconda volta alla porta di quella famiglia ormai monca e si è portata via Clara, la mamma di Cristian. Strozzata in camera da letto con la cintura dell’accappatoio.
Una disgrazia è già un macigno che schianterebbe chiunque, ma due sono un insulto a tutte le logiche di questo mondo. Bruno Lorandi è un mostro oppure qualche dio deve avergli scagliato contro la più acuminata delle maledizioni. «Mai uno screzio, mai una lite con la moglie, e sempre a giocare col figlio», insiste la signora con le ciabatte rosse.
Bruno Lorandi è in carcere, accusato di aver ucciso la moglie, come allora il figlioletto. Fu assolto, al termine di un processo interminabile. Oggi la giustizia ha sempre la faccia ambigua di una roulette: il Gip ha detto no alle manette, il tribunale del riesame l’ha contraddetto, la Cassazione ha spedito dentro l’uomo più impenetrabile d’Italia.
Vittima del fato o carnefice senza misure, chi è Bruno Lorandi? Nuvolera, come Cogne, come Garlasco, come Erba, sembra troppo piccola per un mistero troppo grande. Solo quel nome evocativo, che sarebbe piaciuto a De André, pare presagire tanto strazio. Le case linde, le siepi alte, le aiuole pettinate, i capannoni dove si lavora il marmo. Anche Lorandi ha maneggiato il marmo e le pietre per una vita. L’indirizzo giusto per accostare l’enigma è la Edilkamin, a pochi metri dal condominio delle disgrazie.
La biografia del signor Bruno è tutta, o quasi, dentro quei cancelli: le macchine per tagliare la pietra, la polvere, la sirena che scandisce le fasi della giornata. E prima? E fuori da quei cancelli?
Dentro la cornice della foto di famiglia traspare un’Italia antica e oggi lontanissima: l’uomo dei misteri viene da quel mondo darwiniano di cui oggi abbiamo perso la memoria. «La mia mamma - spiega Bruna Lorandi - si sposò due volte. Dal primo matrimonio nacquero due figlie, poi mio padre Bruno morì, la testa schiacciata da un camion mentre caricava il marmo. Mia mamma Carolina si risposò col fratello di lui Piero, e partorì altre cinque figlie e Bruno». Unico maschio di una famiglia declinata al femminile. «A 14 anni, senza neanche aver finito le elementari, era già a spaccare pietre. Ed era già fidanzato con Clara, l’unica donna della sua vita». Un recinto stretto, forse troppo, forse soffocante, di affetti e fatica. «Mio fratello ha pensato solo a lavorare; se solo avessi avuto allora o avessi oggi un sospetto, sarei la prima a denunciarlo».
Bruna si avvicina alla credenza e afferra la foto di un bambino: le mani giunte e la veste bianca della prima comunione. Ma, dietro la posa, si intuisce l’argento vivo che doveva essere Cristian: «Gli tolga gli occhiali, è tutto suo padre», e Bruna trattiene una lacrima.
Le foto scattate dai flash impietosi venerdì, mentre lo portavano al carcere di Canton Mombello, mostrano un uomo muscoloso e massiccio, gli occhi persi chissà dove. Fabiola, una vita dietro i cancelli della Edilkamin, ha scandagliato quegli occhi da quando era bambina: «Bruno era un operaio infaticabile. Ma anche un uomo impenetrabile, metteva a disagio, sembrava che le due disgrazie gli fossero scivolate addosso. E poi, di tanto in tanto, si incendiava come un fiammifero, come un fugarì, diciamo noi». E spezzava, con qualche alterco, la piattezza di una vita senza pentagramma. «Io, il fondo dei suoi occhi non l’ho mai visto».
Sette sorelle, un carattere mite con qualche esplosione d’ira, una moglie devota, cameriera in un ristorante, che ha sempre creduto alla sua innocenza e non l’ha mai lasciato. Nemmeno nel giorno più cupo di questa favola cattiva: quando lui confessò che sì, Cristian era morto con lui, ma in un incidente, tagliandosi col vetro mentre si sporgeva dal finestrino della 500. Lorandi ritrattò quella spaventosa e incomprensibile ammissione, gli orchi e le streghe si dileguarono, i giudici stabilirono che era un buon padre.

Ventuno anni dopo la maledizione di Nuvolera scende di nuovo su quel condominio e sui bambini che giocano.

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