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Così i vescovi cattolici dell'Est hanno sposato la causa populista

I vescovi cattolici dell'Est Europa hanno sposato la causa di Visegrad e delle politiche restrittive sull'immigrazione. In Italia, invece, l'episcopato usa attaccare Matteo Salvini per la sua "linea dura". La divisione degli ecclesiastici sui migranti alimenta il gran ritorno delle chiese nazionali, dove ogni Conferenza episcopale la pensa in modo diverso

Così i vescovi cattolici dell'Est hanno sposato la causa populista

Buona parte dei vescovi nostrani si sta distinguendo per le critiche al governo. A ben vedere, l'avversario individuato dall'episcopato italiano non è tanto la maggioranza coordinata dal professor Giuseppe Conte, che presenta le differenziazioni che conosciamo - le polemiche in seno all'esecutivo sul da farsi con i migranti di Sea Watch sono un buon esempio - , ma il populismo nella sua interezza.

Pure il Papa, parlando al Corpo diplomatico accreditato in Santa Sede, ha messo in guardia coloro che operano sul fronte delle relazioni internazionali: gli egoismi delle istanze nazionalistiche stanno mettendo in crisi il multilateralismo. Spostandoci dalle parti di Visegrad, ci si rende conto che quel che vale per la Conferenza episcopale italiana non è condiviso da altri episcopati.

La Chiesa ungherese è appiattita su Viktor Orbàn. L'arcivescovo Kocsis ha persino dichiarato in pubblico che i migranti vanno aiutati a casa loro. No, non era stato invitato a un comizio di partito. L'episcopato polacco è il più tradizionalista in assoluto. Basterebbe tener presente il numero di volte che i vescovi incaricati in Polonia sono stati attaccati da consacrati progressisti per aver organizzato e sostenuto il "rosario al confine", quello che vorrebbe mettere al riparo l'Europa dalla crisi identitaria e dalle aperture a flussi indiscriminati.

Medesimo discorso può essere adottato per la Repubblica Ceca, dove il cardinale Dominik Duka non è gradito a chi ritiene che la Chiesa cattolica non possa prendere posizioni così restrittive rispetto alla gestione dei fenomeni migratori. E che non possa essere così allineata a un esecutivo populista. Cosa sta accandendo ad Est? Per gli entusiasti è in corso la rinascita del vero cattolicesimo. Quelllo che si interessa di questioni spirituali, della salvezza dell'anima, e ascrive alla responsabilità degli esecutivi le faccende terrene. Quando si è trattato di difendere gli esecutivi nazionali dalle rimostranze (e dalle sanzioni) dell'Ue, gli episcopati d'Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca sono scesi in campo. Come a dimostrare che antimodernismo e sovranismo territoriale coincidono.

Guardando in casa nostra, va evidenziato tutt'altro. Le politiche di Matteo Salvini non hanno incassato placet vescovili. C'è una parte di episcopato, specie tra le alte gerarchie italiane, che guarda con interesse al fatto che la Lega stia difendendo la causa pro life, ma in Italia non c'è la sincronia riscontrabile ad Est. Dominik Duka, che è l'arcivescovo di Praga, si è spinto fino a contestare la visione di Bergoglio sull'accoglienza. Dalle parti nostre non esiste questa dialettica. Difficile riscontrare casi simili tra gli arcivescovi del Belpaese. Ci sarebbe mons. Negri, che si è da poco schierato contro quei sindaci che hanno annunciato di voler fare obiezione di coscienza per evitare d'applicare il Dl sicurezza, ma non è più il titolare dell'arcidiocesi di Ferrara.

Se gli episcopati dell'Est hanno sposato la causa sovranista, l'episcopato italico riflette sulla possibile costituzione di un partito antipopulista. Alle elezioni europee di maggio manca ancora un po', ma è già percepibile l'eco degli endorsements ecclesiastici. Tutto lascia supporre, però, che le indicazioni, per usare un eufemismo, si differenzieranno a seconda della nazionalità cui appartiene questo o quel presule.

Come se fossimo tornati ai tempi delle Chiese nazionali.

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