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Così Marrakech prova a contrastare l'Isis

Una battaglia che il Marocco sta cercando di vincere contro l’aumento di cellule legate all’Isis

Così Marrakech prova a contrastare l'Isis

Mettere piede in una terra lontana dalla propria rimarrà sempre un’esperienza affascinante e rischiosa al tempo stesso. Quando poi si tratta di una porzione d’Africa, allora l’esperienza si tramuta in un viaggio ascetico. L’arrivo a Marrakech è seducente: il polmone culturale del Marocco accoglie con insolito silenzio e un sole scottante che sembra più vicino di qualche migliaio di chilometri. Decido di raggiungere il centro antico della città evitando taxi e bus turistici, mi dirigo invece verso la fatiscente banchina insieme ai pendolari residenti. Nell’attesa, a 40 gradi senza punti d’ombra, chiunque accosta con il proprio mezzo e si improvvisa tassista: venditori di frutta, automobilisti, motociclisti, si fermano persino carrettieri e gente in bicicletta. Il bus dal design (e non solo quello) vagamente anni ’70 è pieno, man mano che ci si avvicina al centro della città le strade diventano meno larghe e le abitazioni più rosse e vecchie, fino al punto di ritrovarsi nel caos più totale. Se volessimo associare un colore alla città, sarebbe sicuramente un giallo vivo misto ad un tenue rosso. L’arrivo a piazza Jaama El Fna dalla sua sponda sud è di quanto più suggestivo si possa assistere: dall’incredibile ampiezza e dalla forma irregolare, circondata da costruzioni basse tipiche dell’architettura islamica rurale, la piazza accoglie nel suo grembo lasciando un senso di confusione e non offrendo punti di riferimento. Ogni passaggio lungo Jaam El Fna è accompagnato dall’impressione di ritrovarsi in un deserto senza sabbia, in cui gli spazi sono dilatati e la gente è raccolta in piccole folle sparse sotto grandi ombrelloni come fossero oasi. Sulla facciata del Café Argana rimangono visibili i segni dell’attentato terroristico avvenuto nel 2011, che provocò la morte di 17 persone ferendone altre 25. Di mattina la piazza è un immenso mercato all'aperto, con bancarelle che vendono stoffe e datteri, spremute e uova di struzzo.

I suonatori e gli incantatori di serpenti compongono la colonna sonora di ogni singola giornata, mentre donne decorano mani e piedi con pennelli, chiromanti leggono le carte e ammaestratori fanno saltare le proprie scimmie. Quando arrivo lì la prima volta sono circa le undici del mattino ma è già tutto in moto: i prodotti degli erboristi diffondo forti odori, risuonano i flauti e i tamburi mentre serpenti rimangono immobili, una scimmia si libera dalle catene provocando ilarità dappertutto. Il giorno successivo il meteo è stranamente più clemente. Così tanto che un forte temporale si abbatte sulla «piazza più disordinata al mondo». Ma siamo pur sempre in Africa: dura mezz’ora e tutto torna come prima. Decido di avventurarmi nel suq da uno dei tre accessi; è qui che sembra di venir catapultati in un altra dimensione. Oltre 4000 tra botteghe e negozi compongono un incredibile quartiere commerciale fatto di viuzze in ciottoli che si intersecano tra loro. E’ un enorme labirinto coperto da cui non è semplice uscire. I marocchini sono particolarmente vivaci ed estroversi, basta girare lo sguardo verso una direzione che cercano di vendere qualcosa o «aiutare». La particolare composizione topografica della città antica ha anche fatto sì che nascesse una mansione che forse esiste in poche altre città del mondo: una guida che accompagna i turisti ad uscire dal suq o ad orientarsi, ovviamente in cambio di soldi. Ma basta sangue freddo e faccia tosta per rifiutare fantomatiche proposte ed intraprendere un viaggio contemplativo in cui perdersi tra odori di spezie, urla dei commercianti, caos della Medina e fascino del mistero che avvolge la città rossa. Ai piedi delle mura ad est c’è una delle tante modeste moschee di Marrakech, così poco sontuose da esser notate difficilmente da chi non legge l’arabo. Davanti l’ingresso alcuni bus provenienti da Rabat e Casablanca. Sono organizzati dall’Istituto Mohamed VI per la formazione degli Imam e trasportano le guide spirituali islamiche in ritiro. L’iniziativa rientra nel programma avviato recentemente dal sovrano del Paese con lo scopo di allontanare i religiosi dal rischio jihadismo. Una battaglia che il Marocco sta cercando di vincere contro l’aumento di cellule legate all’Isis.

Con il tramonto Marrakech cambia pelle, come quei cobra che lentamente si muovono sul rovente suolo di Jaama durante il giorno. Di sera i suq si svuotano e diventano bui, i vicoli claustrofobici e silenziosi, animati soltanto da spacciatori e da poveri che dormono in strada con poche vesti e senza nulla con sé. Il turismo non può nascondere la grande povertà che c’è nel Paese. Con il buio anche Jaama cambia volto, ma qui è tutta un’altra storia: migliaia di persone affollano il largo le sopraggiungono danzatori, cantastorie che narrano in lingua berbera e araba, musicanti e maghi. È con il calar del sole che ogni artista mette in scena un grandioso spettacolo ogni sera diverso, per difendere le proprie tradizioni dallo sviluppo economico del mondo moderno. E’ un rito che si tramanda da generazioni nella piazza più frequentata d’Africa, contenitore di culture e tradizioni, che per questo è stata proclamata dall’Unesco patrimonio orale e immateriale dell’umanità. Qui incontro il portavoce della prima sindaca donna della città. Una recente ordinanza ha creato non poche preoccupazioni tra i sostenitori della conservazione a Jaama El Fna. «Per questioni di ordine pubblico - ha riferito il portavoce - abbiamo dovuto recentemente regolamentare e ordinare i banchi commerciali e le postazioni degli artisti. Forse avremo perso un po’ di fascino, ma ne avremo guadagnato in sicurezza». Ma Marrakech non è solo atmosfera antica. Essa si dipana eternamente tra modernità e arcaismo. Fuori le mura antiche sembra una città nata da poco: centinaia di cantieri occupano le ampie strade per costruirne di nuove o per realizzare infrastrutture; nella zona moderna ci sono sprazzi di Occidente: franchising di abbigliamento europei e fast food statunitensi si alternano e fanno da sfondo ai giardini di Majorelle, magnifica testimonianza di epoca coloniale di un blu greco abbagliante.

E’ forse questa la più riuscita fusione armoniosa in grado di sfatare gli stereotipi che vogliono vedere l’Africa intera proiettata nella preistoria remota della sponda sud del Mediterraneo.

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