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Fine del sermone: espulso dall'Italia l'imam antisemita

Dopo la nostra denuncia, Alfano caccia il capo della moschea di San Donà che predica lo sterminio degli ebrei. Ma certi segnali inquietano

Fine del sermone: espulso dall'Italia l'imam antisemita

Ieri mattina il ministro dell'interno Angelino Alfano s'è letto Il Giornale e ha deciso che Raoudi Albdelbar, l'imam marocchino della moschea di San Donà che invocava lo sterminio degli ebrei, non poteva restare nel Belpaese. E ne ha disposto l'espulsione per turbamento dell'ordine pubblico, minaccia alla sicurezza nazionale e discriminazione per motivi religiosi. «Non è accettabile venga pronunciata un'orazione di chiaro tenore antisemita, contenente espliciti incitamenti alla violenza e all'odio religioso - ha detto il ministro augurandosi che il tutto valga da monito per chiunque pensi di poter predicare odio».

Sapere che il ministro ci legge con attenzione fa piacere. Ma fa anche un po' specie. La questione della predicazione nelle moschee e dell'incitamento all'odio non è argomento di dirompente imprevedibilità. I precedenti di viale Jenner a Milano, per non parlare della moschea Al Qud di Amburgo dove si formò il capo dei kamikaze dell'11 settembre, qualcosa dovrebbero aver insegnato. Invece, 13 anni dopo, tutto sembra come prima. La vigilanza sulle prediche di un imam marocchino in Veneto restano affidate a un think tank di Washington e a un quotidiano italiano pronto a pubblicarne le segnalazioni. Cosa sarebbe successo se Il Giornale non ne avesse scritto? Il presidente della provincia di Venezia Francesca Zaccariotto, sindaco di San Donà di Piave dal 2003 al 2013, ha raccontato che la «presenza di elementi radicali era stata più volte segnalata» anche con esposti ai Carabinieri, segnalazioni rimaste lettera morta. Negligenza non irrilevante visto che nel 2012 la Digos di Venezia aveva arrestato il siriano Ahmad Chaddad, ex imam della stessa moschea fino al 2009, con l'accusa di estorsione ai danni degli immigrati della zona. Sotto la superficie dell'indagine ribollivano i sospetti sul trasferimento in Medioriente di oltre un milione e mezzo di euro serviti - si ipotizzava - a finanziare attività eversive. Un sospetto rafforzato dalle pregresse relazioni di Chaddad con Abu Imad, l'omologo della moschea milanese di viale Jenner, condannato per favoreggiamento del terrorismo. Contatti a cui s'aggiungevano quelli con il «collega» di Como Ben Hassine Mohamed Senoussi, espulso dall'Italia per presunto proselitismo illegale.

Se la distrazione delle autorità è sconfortante l'acquiescente indifferenza di quanti all'interno delle comunità islamiche ignorano incitazioni all'odio e gravi degenerazioni ideologiche è assolutamente inquietante. Nonostante le follie jihadiste di Iraq e Siria molti musulmani continuano a considerare gli estremisti alla stregua di «fratelli che sbagliano» e preferiscono non denunciarli alle autorità di uno stato «infedele». Ieri Bouchaib Tanji, presidente della Federazione Islamica del Veneto ha appoggiato l'espulsione dell'imam ricordando che l'Islam è una religione di pace e ricordando la necessità di «cacciare chi predica la morte». Ma queste adesioni solidaristiche arrivano sempre a posteriori. Come mai chi vive nelle moschee non allontana gli imam estremisti? Domande non proprio illogiche visto che lunedì un imbarazzato Kamel Layachi, imam di San Donà prima dell'arrivo di Raoudi Albdelbar, spiegava a Il Giornale che le invettive del suo successore «riflettono lo stato d'animo, di disagio e di rabbia delle Comunità musulmane d'Italia circa i crimini quotidiani d'Israele perpetrati nei confronti del popolo Palestinese».

Come dire che per punire uno Stato (Israele) è giusto invocare lo sterminio di un popolo.

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