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Il generale Vincenzo Santo: "I soldati devono fare i soldati!"

L'ex generale si scaglia contro l'attuale gestione della Difesa troppo sbilanciata verso i compiti di protezione civile e auspica il blocco navale contro l'immigrazione clandestina

Il generale Vincenzo Santo: "I soldati devono fare i soldati!"

Il generale di corpo d’armata Vincenzo Santo, ora ritiratosi dal servizio attivo, è stato comandante delle Forze Operative Terrestri, sottocapo per il supporto presso il Joint Force Command della Nato di Brunssum (Olanda) tra il 2012 e 2014 e successivamente capo di stato maggiore del comando delle forze Isaf a Kabul, in Afghanistan.

In un’intervista per La Verità, il generale fa una panoramica a 360 gradi sui problemi di attualità che non riguardano solo la Difesa propriamente detta. Santo ha le idee ben chiare per quanto riguarda il fenomeno dell’immigrazione clandestina e la sua soluzione è quella che abbiamo già sentito altre volte nel corso di questi anni: il blocco navale.

Il generale sostiene infatti che sia necessaria una “interdizione marittima” aggiungendo che “chiudere i porti va bene ma occorre elaborare una strategia su tutto ciò che accade prima”. Solleva però dei dubbi in merito: “in genere dubito della nostra capacità di esprimere una strategia così complessa”.

Strategia che è ben chiara, invece, nella mente del generale Santo che già l’anno scorso, in un’intervista a Libero ha definito molto dettagliatamente. Oltre al blocco navale, da effettuare col nostro naviglio e con quello della missione Frontex, occorre fermare immediatamente le missioni navali internazionali definite “controproducenti” come Sophia (o Eunavfor-Med) o Themis. Secondariamente il generale suggeriva di emanare un decreto legge che consentisse solo ricorsi amministrativi contro il diniego dello status di rifugiato politico esautorando così la magistratura ordinaria dalla gestione dei richiedenti asilo.

Oltre a questo il generale proponeva la stipulazione di accordi con i Paesi di transito e origine del fenomeno migratorio per la creazione di campi profughi gestiti dalle organizzazioni internazionali unitamente alla creazione di campi in Italia gestiti però dalla Protezione Civile o dall’Esercito per sottrarli all’interesse lucrativo dei privati. Tutte cose già sentite dalla politica e soprattutto da una parte politica che ora è al Governo, ma risulta più interessante, nel progetto del generale, la possibilità di effettuare incursioni armate in territorio libico – da cui partono i barconi che attraversano il Mediterraneo cariche di immigrati – da parte di Forze Speciali per neutralizzare la basi dei trafficanti di uomini tra cui si nascondono anche terroristi islamici.

Parlando di minaccia terroristica, la sicurezza, per il generale Vincenzo Santo, passa anche dall’educazione civica: sul modello israeliano, dove ogni cittadino è consapevole dei rischi che corre perché viene reso consapevole dallo Stato, il generale vorrebbe che tutti noi cittadini “aprissimo sempre gli occhi” contro i terroristi ed uscissimo pertanto da una specie di bolla in cui apparentemente ci sentiamo al sicuro. Bolla che anche i media, che secondo il generale tendono a sdrammatizzare quando avviene qualche attentato, hanno contribuito a costruire.

Per il generale poi, la strumentazione giuridica per combattere il terrorismo non sarebbe sufficiente ed auspica che si aumentino i poteri delle forze di polizia, si limiti l’intervento della magistratura e si stabilisca un regime carcerario più rigido. Sino a che punto però, questo il generale non lo dice, e riteniamo che se da un lato esiste un problema strutturale della magistratura che, spesso, interpreta le leggi grazie a quella babele di norme e codici che è il nostro codice penale, con risultati a volte deprecabili, dall’altro esistono già leggi ad hoc sul terrorismo e aumentare i poteri della polizia limitando contestualmente quelli della magistratura sarebbe un pericoloso precedente che potrebbe limitare la libertà dei cittadini.

Anche il generale Santo, come i suoi colleghi Bertolini e Li Gobbi, afferma a buon diritto che in Italia ci sia un problema culturale in merito alla Difesa, soprattutto per quanto riguarda le spese destinatele e per la filosofia che ne anima l’impiego. L’origine di questo problema, vero e proprio male secondo chi scrive, è da ascriversi al Sessantotto e agli anni Settanta. Per il generale non ci sarebbe da stupirsi se venisse, ad esempio, eliminata la parola “guerra” dalle istituzioni militari come le scuole di specializzazione.

In particolare si riferisce all’attuale politica del Ministro Trenta che, oltre al “dual use” delle Forze Armate, viste sempre più come un organo collaterale di protezione civile, ha stabilito che la parata del prossimo due giugno sarà incentrata sul tema dell’inclusione. Il problema, evidenziato da Santo ma palese a tutti gli esperti del settore, è che in Italia “si sono persi alcuni valori a partire dall’idea di Patria” con tutto quello che ne consegue a proposito di investimenti nel settore Difesa, visto sempre come un serbatoio di fondi a cui attingere con “la presunzione, l’illusione, di non avere bisogno della Difesa”.

Il soldato quindi deve fare “il soldato”, sostiene giustamente il generale e pertanto devono cessare di eseguire i compiti di pubblica sicurezza, come l’operazione Strade Sicure, al posto delle forze di polizia.

Da quest’ultimo punto di vista il generale sostiene che non sarebbe sbagliato ritenere che “l’80% dei mezzi ruotati dell’Esercito efficienti sono impegnati per l’operazione Strade Sicure” e che “se anche fosse il 60%” la situazione, materiale e filosofica, non cambierebbe di una virgola.

Il problema pertanto è di origine politica. Santo sostiene, giustamente, che se si ventila l’ipotesi che l’Esercito venga impegnato per tappare le buche nelle strade, per sorvegliare i campi rom o per raccogliere la spazzatura, è perché “quelle attività ordinarie qualcuno non le ha svolte” quindi sarebbe auspicabile che chi non ha fatto il proprio dovere sia chiamato a risponderne piuttosto che affidarsi alle Forze Armate per porvi rimedio.

Nell’intervista c’è stato spazio anche per parlare di un problema evidenziato dai suoi colleghi e più volte ripetuto da analisti del settore: l’invecchiamento delle truppe. L’età media attuale è di 37 anni, che andrebbe benissimo per un comandante di compagnia, che abbisogna di esperienza, ma è un fattore critico quando si tratta di soldati con compiti più pesanti e logoranti come quello dell’assaltatore o del fuciliere. Come fare? Anche il generale Santo ritiene che un avvicendamento rapido e periodico delle truppe previa riapertura degli arruolamenti unito al reinserimento nella vita civile di chi viene congedato, sia la soluzione ottimale. Cosa che avviene in tutti gli eserciti professionali d’Europa dove la ferma, per un fante, dura in media dodici anni.

Il generale Santo ha dipinto un quadro preoccupante per la Difesa, ed anch’egli, con nostro rammarico, ha atteso di non essere più in servizio per dare voce pubblicamente a queste problematiche filosofiche e strutturali.

Le parole forti e sacrosante di Santo, come quelle di Bertolini o Li Gobbi, avrebbero sicuramente avuto ben altro valore – oltre quello politico – se fossero state dette quando si indossavano ancora le stellette, purtroppo però questo in Italia non avviene quasi mai, un po’ per comprensibile timore di epurazioni o siluramenti da parte di una politica che, come abbiamo sempre detto, vede la Difesa quasi come un inutile orpello, dall’altro perché gli stessi quadri dirigenziali delle FFAA cercano di compiacere, spesso controvoglia, il potere politico di turno per raggranellare qualche stanziamento in più di cui le nostra Difesa abbisogna come l’ossigeno per poter continuare ad avere almeno una parvenza di efficienza.

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