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Iran, per evitare la guerra Trump deve riscrivere la deterrenza

Gli Stati Uniti dovranno ricostruire la loro credibilità e riscrivere una nuova strategia deterrente nei confronti dell’Iran

Iran, per evitare la guerra Trump deve riscrivere la deterrenza

L’attuale tattica del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump nei confronti dell’Iran, è destinata a fallire. In queste ore, la diplomazia della Casa Bianca è al lavoro per costruire un consenso internazionale in merito al presunto coinvolgimento di Teheran nei recenti attacchi contro le petroliere, nel Golfo di Oman. L’Iran, invece, cerca a sua volta riscontri nell’opinione pubblica internazionale, puntando sul “tradimento” degli americani, dopo il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall'accordo sul nucleare ed il ripristino delle devastanti sanzioni economiche. Come abbiamo spiegato precedentemente, una guerra convenzionale tra Stati Uniti ed Iraq non ci sarà. L'invasione (la parte più facile) e l'occupazione (quella più difficile) americana della Repubblica Islamica, farebbe sembrare Disneyworld la guerra in Iraq. Ad oggi, noi conosciamo la tattica adottata dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, per cercare di piegare la volontà dell'Iran, ma non la sua strategia per risolvere la questione nella sua interezza.

Il concetto di deterrenza

Cos’è la deterrenza? essenzialmente è un’arma psicologica attiva sulle percezioni del potenziale avversario. Come arma psicologica, la deterrenza è plasmata per modificare il processo decisionale avversario. A sua volta, per essere efficace, la deterrenza dovrà essere strutturata su una capacità credibile ed una diplomazia efficace che chiarisca comportamenti inaccettabili e conseguenze certe. In una strategia deterrente, l'avversario è ben consapevole che ad un suo comportamento ritenuto inaccettabile, corrisponderà una punizione efficace. Affinché il deterrente sia credibile, alcuni dettagli chiave sono pubblici in modo da comunicare i rischi a qualsiasi avversario. Quello di rassicurare l’avversario, è sostanzialmente il compito della diplomazia. Senza una chiara rassicurazione, la deterrenza aumenterà il rischio di un'escalation militare incontrollata. Quando le minacce delle sanzioni sono combinate con incentivi positivi, concepiti per scongiurare il comportamento inaccettabile dell'avversario, le prospettive di successo della deterrenza aumentano. Il principio della deterrenza, quindi, si basa su un delicato equilibrio tre le scarse informazioni diramate e quelle classificate. Informazioni ritenute sufficienti per tentare di alterare il processo decisionale avversario. La deterrenza dipenderà sempre da un certo grado di indeterminatezza e di incertezza. Quando il processo decisionale avversario si comporta in modo anomalo o non previsto, la strategia deterrente andrebbe riscritta poiché non più efficace. L’anomalia, infatti, potrebbe dare vita a comportamenti ambigui, non precedentemente previsti, dell'avversario che richiederebbero delle azioni, pena la credibilità della deterrenza. Come abbiamo ripetuto in precedenza, un attacco preventivo convenzionale contro la Repubblica Islamica, ridurrebbe certamente le capacità militare del Paese, ma non escluderebbe la ritorsione contro le basi statunitensi in Medio Oriente ed Israele. L’unico modo per risolvere la crisi tra Washington e Teheran, bloccati in una disputa geopolitica a lungo termine in tutto il Medio Oriente che durerà decenni, è riscrivere la deterrenza. Iran e Stati Uniti continueranno a farsi la guerra per procura.

Iran, riscrivere la deterrenza

La deterrenza statunitense nei confronti dell’Iran ha fallito. Le sanzioni imposte dalla Casa Bianca, dopo l’uscita unilaterale dagli accordi sul nucleare del 2015 (in cui credono ancora i leader europei), non sono state sufficienti per ottenere in Teheran la reazione prevista dagli strateghi dell’amministrazione Trump. La tattica della “massima pressione” per costringere l’Iran ad accogliere le richieste di Washington (“New Iran Strategy”), si sta rivelando fallimentare. Teheran, non fa distinzioni tra guerra economica e militare, dal momento che entrambe porteranno al collasso del regime. La tattica della "massima pressione", sta unendo gli iraniani intorno alla bandiera. La tattica di Trump, non sta facendo scendere per strada gli iraniani per un cambio di regime. Questo non solo perché il valore culturale della resistenza è relativamente alto nella Repubblica Islamica: più la leadership iraniana resiste alle pressioni straniere, maggiore è la legittimità che ottiene. Prima parlavamo di anomalie nel processo decisionale avversario. Proprio le anomalie potrebbero generare scenari non previsti, che richiederebbero delle decisione potenzialmente non calibrate (o addirittura emotive) dell’autorità in comando. E’, invece, imperativo riscrivere una efficace deterrenza nei confronti dell’Iran, fornendo ai leader di Teheran ogni incentivo per evitare una escalation militare. L’Iran non è l’Iraq, non è la Siria. E l’arsenale missilistico della Repubblica Islamica è certamente più potente, sofisticato e capace di quello della Corea del Nord.

Soltanto un pazzo consiglierebbe al Presidente degli Stati Uniti, un attacco limitato contro l’Iran che, inevitabilmente, innescherebbe una rappresaglia di Teheran dalle conseguenze inimmaginabili. Trump ha lanciato raid missilistici in Siria ed Iraq, perché il Pentagono aveva la certezza assoluta che non ci sarebbero state rappresaglie. Non esiste un attacco bilanciato nei confronti dell’Iran e gli Stati Uniti non si getteranno in un altro Vietnam. Chi parla di azioni militari isolate contro l'Iran, è solo uno sprovveduto. Riscrivendo la strategia deterrente nei confronti dell'Iran, gli Stati Uniti eleverebbero alcune minacce a livello esistenziale. La minaccia esistenziale abilità l'intera architettura strategica di proiezione. Per Teheran (storia insegna), la resistenza e la sconfitta militare sono le uniche alternative possibili. La resistenza è un aspetto fondamentale della cultura iraniana ed è sempre stata una forza trainante nella sua politica estera. Oggi, Teheran si attiene a questo stesso esatto principio. La leadership della Repubblica islamica ha fatto passare il messaggio interno che qualsiasi accondiscendenza degli Stati Uniti equivarrebbe ad una resa: in presenza di una minaccia esistenziale, conterà solo la sopravvivenza. Ecco perchè ogni strategia deterrente sarebbe inattuabile senza delle condizioni, a vantaggio delle parti coinvolte. La diplomazia statunitense dovrebbe garantire a Teheran una immediata rampa d’uscita dall’attuale crisi, con un dettagliato piano per tornare al tavolo delle trattative. Obiettivo peraltro già annunciato da Trump. Gli Stati Uniti, nel frattempo, dovranno tentare di ricostruire la loro credibilità nei confronti dell’Iran, ricompensando di volta in volta i progressi compiuti dalla Repubblica Islamica. Senza una immediata strategia di uscita, la situazione potrebbe degenerare rapidamente.

La questione iranian dovrà essere risolta soltanto nel modo giusto e, cioè, attraverso negoziati.

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