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L'Isis sbarca in Australia e minaccia gli Usa con ebola

Quindici arresti fra Sydney e Brisbane: i fanatici progettavano decapitazioni in pubblico. Delirio online: "Il virus contro l'America"

L'Europa pensa che lo Stato islamico rappresenti una minaccia prima di tutto per i Paesi dell'Unione, così vicina a quel Levante in cui da mesi gli estremisti avanzano, dalla Siria verso l'Irak. Sono migliaia, circa 2.000, i combattenti che dagli Stati europei sarebbero partiti verso le terre mediorientali in guerra, ha rivelato a giugno una ricerca del centro di studi d'intelligence newyorchese Soufan Group, circa 400 solo dal Regno Unito. La paura cresce ora che si è scoperto che alcuni affiliati dello Stato islamico discutono su forum online della possibilità di diffondere il virus ebola in Usa e nelle altre nazioni che fanno parte della Coalizione anti-Isis. Le azioni e la rete dello Stato islamico rappresentano una minaccia, quindi, anche per quelle nazioni che sembrerebbero protette dalla semplice lontananza geografica. E del resto lo ricorda già quanto accaduto tra Sydney e Brisbane. All'alba di ieri 800 uomini delle forze dell'ordine hanno portato a termine quella che è già stata definita la più vasta operazione antiterroristica della storia dell'Australia: 15 persone con presunti legami con lo Stato islamico arrestate (9 poi rilasciate), due accusate di organizzare attacchi terroristici in Australia.

In tribunale è già comparso Omar Azari, 22 anni, accusato di cospirare con «un membro di un certo livello dello Stato islamico», ha detto davanti alle telecamere il premier Tony Abbott. Si tratterebbe secondo le carte degli inquirenti di Mohammad Baryalei, 33 anni, per cui è stato spiccato un mandato d'arresto. Tra le azioni che si stavano preparando, hanno spiegato gli inquirenti, anche un atto «scioccante» e «spettacolare»: la decapitazione in pubblico di cittadini. Il procuratore generale Michael Allnutt ha parlato di «accesso a contante», di «background comune di persone capaci di lasciare il Paese», di un «inusuale livello di fanatismo».

In Australia le preoccupazioni per eventuali azioni dello Stato islamico hanno portato pochi giorni fa il governo ad aumentare l'allerta terrorismo da «medio» ad «alto», anche se il premier aveva allora assicurato l'assenza di minacce immediate. Secondo i giornali, sarebbero 60 gli australiani che combattono in Siria, 15 sarebbero già stati uccisi, oltre cento sarebbero i sostenitori in Australia (due uomini arrestati la settimana scorsa a Brisbane si apprestavano a partire). I numeri sono difficili da verificare. Qualche settimana fa il ministro degli Esteri Julie Bishop aveva parlato di 150 australiani partiti, un numero «straordinario», aveva commentato: «Siamo preoccupati che australiani lavorino con loro (Stato islamico, ndr )… siano radicalizzati e possano tornare in Australia». In un video di propaganda di 13 minuti messo online dagli estremisti, due jihadisti dichiarano in inglese d'essere australiani. Uno di loro, un tal Abu Yahya ash Shami, sarebbe diventato da poco comandante dell'unità di una cittadina irachena, hanno riportato i media australiani, anche se altre fonti lo ritenevano morto negli scontri. I timori nel Paese hanno portato l'Australia a diventare uno dei più robusti sostenitori degli Stati Uniti nella coalizione che si sta formando per arginare l'avanzata dello Stato islamico. Il governo australiano invia 600 uomini – 400 dell'aviazione e 200 delle forze speciali – nelle basi degli Emirati Arabi, oltre agli aerei da guerra, in attesa di decidere quale sarà esattamente il ruolo dell'Australia.

Gli Stati Uniti cercano un robusto sostegno e la cooperazione per il loro intervento, intanto vanno avanti con i bombardamenti sulle postazioni degli estremisti in Irak. La Francia ha autorizzato raid aerei, ribadendo il no all'invio di truppe di terra. Hollande ha annunciato che i raid cominceranno «in tempi brevi»: «Quando individueremo degli obiettivi, agiremo». E ieri il capo del Pentagono Chuck

Hagel ha annunciato al Congresso Usa di aver approvato il piano per colpire con raid aerei obiettivi dello Stato islamico in Siria.

Un recente sondaggio New York Times/Cbs racconta che, se da una parte gli americani appoggiano i raid aerei, il 48% è però sfavorevole a come il presidente Obama gestisce l'emergenza.

 

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