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Guerra senza fine nel Caucaso

Agli inizi degli anni novanta è scoppiata una guerra sanguinosa fra armeni ed azeri per il controllo di questa regione nel cuore del Caucaso

Soldati azeri in un bunker sul fonte del distretto di Adgam
Soldati azeri in un bunker sul fonte del distretto di Adgam

Il villaggio 689 prende il nome dal numero di famiglie profughe dal Nagorno Karabak, un fazzoletto di terra dimenticato da tutti. Agli inizi degli anni novanta è scoppiata una guerra sanguinosa fra armeni ed azeri per il controllo di questa regione nel cuore del Caucaso. Un conflitto congelato lungo linee di trincea come ai tempi della prima guerra mondiale. (Video)

Nel distretto di Agdam tutti gli azeri sono fuggiti rifugiandosi nel 30% del territorio che gli armeni non hanno conquistato. Mohammed Aslanov ha lo sguardo spento. A 13 anni è diventato un profugo vivendo sotto le tende per un ventennio. Solo nel 2010 il governo di Baku ha costruito il villaggio 689. “Ho perso la mia giovinezza. Non voglio che questa tragedia ricada sui nostri figli. Mia madre è morta poco più di un mese fa. Non posso neppure seppellirla accanto a suo marito, come voleva, nel nostro villaggio occupato dagli armeni” spiega il profugo.

Oruj Jabbarov, baffoni neri, (Gallery) gira con le foto del massacro di Kojali del 1992. Un’immagine drammatica in bianco e nero lo ritrae con il fucile in una mano ed una bambina sollevata di peso sotto l’altro braccio. “La madre è stata uccisa, come tanti altri civili fatti a pezzi, bruciati vivi o decapitati - racconta l’ex combattente - La ragazzina era nascosta dietro un albero e stava morendo congelata. L’ho portata in salvo”. Jabarrov non ha dubbi: “Se non sarà possibile tornare nelle nostre terre in pace sono pronto a tornare a combattere”.

L’escalation del conflitto con 130 morti dal 2014 si è portato via il fratello di Isa Ahmadov a soli 19 anni. “Un cecchino lo ha colpito lo scorso anno in fronte - racconta - Mia madre prima che tornasse in trincea gli aveva detto di stare attento, ma lui voleva fare il volontario per liberare il nostro villaggio a soli tre chilometri”. Dieci giorni fa una granata di mortaio è piombata in un cimitero. Le schegge hanno scalfito le tombe.
I militari azeri ci portano dentro un bunker in prima linea fatto di cemento e sacchetti di sabbia. I soldatini di guardia scattano sull’attenti davanti al colonnello Abdullah Gurbani. L’ufficiale per spiegare questa guerra senza fine usa un proverbio del Caucaso: “Quando la terra si mescola all’acqua si trasforma in fango, ma se viene mischiata al sangue diventa patria”.
A ridosso del fronte vive una famiglia costretta a tirar su dei muri per fermare le pallottole.

Emin Tanriverdiyev, 28 anni, quasi ci scherza sopra: “Siamo tre fratelli e non vogliamo lasciare la nostra terra, ma come facciamo a trovare moglie? Possiamo offrire solo una vita da contadini in prima linea”.



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