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Obama l'africano

Gli Usa tentano di riconquistare il terreno perduto in Africa a vantaggio della Cina. Europa assente

Obama l'africano

Meglio tardi che mai ma, questa volta, per Obama è davvero molto tardi. Il vertice di Washington tra i massimi rappresentanti degli Stati Uniti, dell’immancabile Banca Mondiale e 50 leader africani è arrivato mentre il Continente Nero è squassato da guerre e guerriglie, da epidemie come Ebola e dai perenni problemi legati alla fame. Ma è arrivato anche dopo che la presenza di Pechino si è ormai consolidata mentre l’Europa appare solo un ricordo lontano.

L’Africa sta crescendo, economicamente, a ritmi che in alcuni Paesi hanno davvero pochi confronti nel resto del mondo. Lo scorso anno il Pil complessivo del Continente è cresciuto del 5%. Eppure le persone che vivono al di sotto della soglia di povertà continuano ad aumentare. La disoccupazione giovanile supera il 60%. E questi due fattori, insieme, sono sufficienti a spiegare il flusso inarrestabile di migranti verso l’Italia e l’Europa.

Ora Obama riscopre l’Africa, dopo troppi anni in cui l’amministrazione americana ha considerato il Continente Nero semplicemente come territorio di scontro con le ex potenze coloniali europee, in particolar modo con la Francia. Il risultato è stato quello di ridurre ai minimi termini il ruolo di Parigi, grazie anche ai tanti scandali che hanno coinvolto l’Eliseo. Ma gli Usa sono riusciti solo in piccola parte a sostituire la Francia come potenza africana. A Parigi è rimasto il simulacro del parlamento della francofonia, dove siedono anche i rappresentanti del Québec e della Valle d’Aosta. Ed il dovere di intervenire, con propri contingenti, in qualche guerra locale, dal Mali al Centrafrica.

Gli Stati Uniti, con il fondamentale contributo di imprenditori che gli argentini definirebbero “buitres”, hanno saccheggiato risorse minerarie ed agricole, hanno corrotto un po’ di presidenti e di governi, e poi han dovuto lasciar campo ai cinesi. Che hanno corrotto un po’ di presidenti e di governi, si son comprati intere regioni minerarie ed agricole, ma poi hanno investito molto, spesso moltissimo. E hanno cominciato a trasferire migliaia e migliaia di cinesi in ogni parte dell’Africa. Ora son più di un milione e sono destinati ad aumentare. Hanno creato strutture commerciali, hanno spesso annientato il piccolo commercio locale ed anche l’agricoltura di sussistenza.

Il commercio tra Africa e Cina ha superato i 200 miliardi di dollari, lo scorso anno. E da ogni tensione locale, da ogni guerriglia, da ogni scontro, Pechino riesce a guadagnare, a rafforzarsi. Ora Obama, con il summit di Washington, spera di ribaltare la situazione. O, almeno, cerca di riequilibrarla. Dimenticando i catastrofici errori, dalla Libia alla Somalia. Dimenticando i problemi nei rapporti con l’Egitto e puntando sull’Africa Nera, subsahariana. Su Paesi come il Ghana, in fortissimo sviluppo, sul Kenya che cresce a gran velocità ma con tensioni perché metà della popolazione è al di sotto della soglia di povertà. Sulla Nigeria, nonostante Boko Haram e, soprattutto, nonostante la presenza dei cinesi. Senza dimenticare il Sudafrica, in netto rallentamento ma pur sempre il Paese più ricco dell’Africa.

In questo contesto spicca, per l’assenza, l’Italia. Sfrattata dalla Libia grazie alla follia parigina, incapace di avere un ruolo nelle ex colonie orientali. Non solo nella Somalia disastrata dalla guerriglia, ma anche nelle meno complicate Etiopia ed Eritrea. Restano solo i palazzi coloniali ed i profughi che sbarcano sulle nostre coste.

Alessandro Grandi

think tank “Il Nodo di Gordio

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NododiGordio.org

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