Mondo

Obama vuol prendersi anche i meriti di Putin

Il presidente Usa cerca rivincite. Ma sul tavolo della guerra sono tanti a fare il doppio gioco

Obama vuol prendersi anche i meriti di Putin

Saddam Hussein la chiamerebbe la «madre di tutte le battaglie». Ma l'attacco a Mosul, confronto chiave per la sconfitta dei 7mila miliziani dell'Isis trincerati nella città rischia di rivelarsi arduo, lungo e forse prematuro. Il via libera dell'offensiva affidata a 54mila militari iracheni, decine di migliaia di miliziani curdi, sciiti, sunniti e da 5400 americani, risponde soprattutto alle logiche della Casa Bianca. Ma il fattore «fretta», essenziale per Obama, è solo uno dei giochi e delle tante incognite nascoste dietro l'offensiva

La fretta di Obama

La conquista di Mosul entro metà dicembre è l'imperativo di un Obama deciso a passare alla storia come il presidente che ha ucciso Osama Bin Laden e distrutto il Califfato. Rispettando i tempi il presidente potrà annoverarla come il principale successo del suo secondo mandato. Un successo indispensabile per cancellare il ricordo del ritiro dall'Iraq, vera causa della nascita del Califfato.

La rivincita su Putin

Accelerare i tempi consente anche di celare dietro il paravento mediatico della nuova offensiva il fallimento conseguito su quel fronte siriano dominato dalle iniziative di Vladimir Putin. Un fronte dove i ribelli «moderati» - appoggiati e finanziati da Washington - sono parte integrante delle forze jihadiste e di Al Nusra, la costola siriana di Al Qaida.

L'intesa segreta e l'incognita sciita

Teheran, come pure Mosca, teme un'implicita «intesa» segreta con l'Isis. L'«accordo» garantirebbe una rapida caduta di Mosul in cambio d'una via di fuga su cui «agevolare» il trasferimento dei miliziani dell'Isis verso Raqqa, la capitale siriana del Califfato. Il problema dello Stato Islamico resterebbe così a carico di Damasco, Mosca e Teheran. Per questo le milizie sciite tenteranno di sigillare le vie d'uscita dalla città. Rischiando però lo scontro con i curdi e con le milizie tribali sunnite.

La questione curda

La repressione anti sunnita avviata del governo sciita di Bagdad nel 2014, fu uno dei fattori chiave della caduta di Mosul nelle mani dell'Isis. Ma dietro il voltafaccia di una città culla dell'orgoglio sunnita c'era anche la rabbia per l'egemonia dei gruppi curdi sul nord e sulle risorse petrolifere di Kirkuk. Due anni dopo i curdi sono ancor più forti grazie agli aiuti occidentali. E da ieri giocano un ruolo chiave sul fronte orientale di Mosul. A parole s'impegnano a non entrare a Mosul, ma un loro eccessivo coinvolgimento rischia di far collassare gli equilibri di forze sul terreno.

La catastrofe umanitaria

Attaccare una città in cui vive ancora un milione di civili utilizzabili come «scudi umani» è un vero rebus strategico. Mentre i combattenti dell'Isis sfrutteranno la ragnatela di tunnel scavati nel sottosuolo la presenza dei civili renderà assai complessi i raid aerei. Con il rischio di allungare i tempi e aumentare il rischio di carestie. L'Isis potrà, invece, far defluire parte della popolazione in fuga sui lati della città vicini alla capitolazione così da seminare confusione tra gli attaccanti e bloccare gli assalti.

Tunnel e barriere di fuoco

La fitta rete di tunnel, alcuni dei quali percorribili in moto, scavata sotto Mosul rende impossibile bloccare i movimenti dell'Isis. Anche dopo lo sfondamento delle linee difensive i miliziani del Califfato potranno improvvisare assalti suicidi alle spalle degli attaccanti. L'altra incognita sono le barriere di fuoco preparate riempiendo di petrolio e pneumatici le lunghe e profonde trincee scavate in questi ultimi mesi attorno e dentro Mosul. Le colonne di fumo generato da queste barriere rischiano di accecare i droni impegnati nei rilevamenti e i bombardieri.

L'intruso Erdogan

Nonostante le proteste irachene la Turchia mantiene mille soldati e una ventina di carri armati nel campo di Bashiqa, a nord ovest di Mosul dove, ufficialmente, addestra le forze curde. Il presidente turco Erdogan ha già fatto sapere di non voler ritirarsi e di voler partecipare all'offensiva. Erdogan punta a garantirsi un ruolo nella conquista di una Mosul rimasta per secoli sotto il controllo dell'impero ottomano.

E per farlo è pronto ad innescare un pericoloso conflitto con Baghdad e le milizie sciite.

Commenti