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Il Pentagono ha aggiornato le opzioni militari per colpire l'Iran

Ogni tipo di azione militare fisica o virtuale innescherebbe una rappresaglia contro le basi Usa in Medio Oriente ed Israele. Gli americani non possono vincere ogni guerra: l'Iran non è l'Iraq

Il Pentagono ha aggiornato le opzioni militari per colpire l'Iran

Lo scorso settembre il Consiglio Nazionale per la Sicurezza ha chiesto al Dipartimento della Difesa di consegnare alla Casa Bianca tutte le opzioni militari aggiornate per colpire l’Iran. E’ quanto riporta il Wall Street Journal. I piani d’attacco aggiornati sono stati richiesti dopo che tre colpi di mortaio hanno colpito il sei settembre scorso il quartiere diplomatico di Baghdad, in Iraq, dove ha sede l’ambasciata degli Stati Uniti. Per la Casa Bianca dietro quell’attacco ci sarebbe proprio l’Iran. Teheran ha sempre respinto l’accusa definendola come “l’ennesima falsa propaganda degli Stati Uniti”. L’Iran – si legge nella nota ufficiale della Repubblica islamica - condanna qualsiasi attacco contro i siti diplomatici.

Washington e Teheran sono bloccati in una disputa geopolitica a lungo termine in tutto il Medio Oriente che durerà decenni. In ogni caso Teheran non rappresenta una minaccia esistenziale per gli Stati Uniti. I due paesi continueranno a farsi la guerra per procura.

Blue Sky Options

Il Consiglio per la Sicurezza Nazionale, secondo prassi obbligatoria, consegna al Presidente degli Stati Uniti il ventaglio di tutte le opzioni (Blue Sky Options) disponibili ed aggiornate per rispondere ad una minaccia specifica. Le agenzie di intelligence ed il Dipartimento della Difesa statunitense elaborano costantemente dei piani d’attacco per fronteggiare tutte le minacce attuali ed emergenti. Tuttavia quando si considera l'azione militare è importante riconoscere le variabili e le lacune di intelligence che complicano inevitabilmente il processo decisionale politico e militare. Un attacco preventivo convenzionale contro l'Iran ridurrebbe certamente le capacità militare del paese, ma non escluderebbe la ritorsione contro le basi statunitensi in Medio Oriente ed Israele. Qualsiasi decisione è affidata all’infallibilità ed alla capacità di discernimento concessa al Presidente degli Stati Uniti.

Una guerra convenzionale tra Washington e Teheran non ci sarà

Nessun paese al mondo potrebbe sconfiggere gli Stati Uniti

Il concetto stesso di guerra convenzionale tra stati, pena conseguenze inimmaginabili ed evoluzioni imprevedibili, è storia. L’Iran non è certamente l'Iraq o la Corea del Nord, ma non rappresenta una minaccia militare convenzionale per gli Stati Uniti. Nessun paese al mondo potrebbe sperare di sconfiggere militarmente gli Stati Uniti. Con una spesa militare di 610 miliardi di dollari, le forze armate statunitensi non hanno eguali nel pianeta. Il budget di Teheran, circa 14 miliardi di dollari del Pil investito nella spesa militare, se paragonato a quello Usa rappresenta una voce del tutto trascurabile, insignificante. Gli Stati Uniti dispongono di alcune delle armi più avanzate al mondo, mentre la spina dorsale dell'esercito iraniano è relativamente obsoleta. Qualsiasi sistema corazzato iraniano è inferiore sotto ogni aspetto alla sua controparte statunitense. Medesimo discorso per le forze aeree e navali. Le truppe americane sono di gran lunga meglio addestrate ed equipaggiate rispetto alle forze iraniane. Numericamente parlando gli Stati Uniti possiedono un esercito di oltre due milioni di unità (riserve comprese, forza attiva di 1,3 milioni di soldati), mentre l'Iran raggiungerebbe a fatica il milione (riserve comprese, forza attiva di 500 mila unità). L’Iran non avrebbe una sola possibilità di vincere una guerra convenzionale contro gli Stati Uniti. E questo sarebbe solo l'inizio.

Al Presidente degli Stati Uniti Donald Trump è concessa la facoltà di tramutare un conflitto convenzionale in nucleare. Le opzioni nucleari contro l'Iran esistono da tempo. Basterebbe un solo sottomarino strategico classe Ohio in configurazione da attacco pesante per cambiare per sempre la storia dell’Iran e del mondo. Il tempo necessario per lanciare un attacco nucleare è stimato in otto / dodici minuti. In base alla riduzione dell’arsenale strategico previsto dalla Nuclear Posture Review, ogni sottomarino classe Ohio trasporta venti missili Trident II D5 per quattro-cinque testate a rientro multiplo indipendente. Tuttavia ogni missile potrebbe trasportarne fino ad un massimo di otto per 160 testate a rientro multiplo indipendente lanciate da un solo sottomarino classe Ohio. Ed in ogni momento, gli Stati Uniti hanno da quattro a sei Ohio in mare pronti a lanciare. Nessuno sa quello che accadrà una volta avviati i lanci, mentre ancora più pericolose potrebbero essere le implicazioni sulla stabilità strategica mondiale.

Se un Ohio in configurazione da attacco pesante lanciasse tutte le sue testate termonucleari Mirv W88 / MK5 da 455 kt, riverserebbe sull’Iran una resa esplosiva di 91,2 megatoni. Questa è una certezza strategica, non teorica. Si tratta di un potere distruttivo inimmaginabile. Una tale potenza degraderebbe (non azzerandole) le capacità di rappresaglia di Teheran contro le basi statunitensi in Medio Oriente ed Israele (che a sua volta risponderebbe lanciando le sue testate nucleari a base di plutonio da duecento chilotoni). Qualora scoppiasse una guerra totale e senza limiti tra Stati Uniti ed Iran, sarebbe proprio la disparità atomica a rendere irrilevanti tutte le altre voci convenzionali dell’equazione. Tuttavia il ricorso al nucleare, che andrebbe autorizzato solo in specifici casi, avrebbe conseguenze inimmaginabili ed imprevedibili. Nessun paese al mondo avrebbe una sola possibilità di sconfiggere militarmente gli Stati Uniti. Tuttavia una guerra contro la Repubblica Islamica, storia insegna, sarebbe una prospettiva devastante per tutti i soggetti coinvolti.

Attaccare l’Iran: le opzioni di Trump

Si tratterebbe dell'attacco militare più pubblicizzato della storia. I social, campo di battaglia virtuale, ospiterebbero contesti IW che plasmerebbero l'opinione pubblica internazionale. Tali attacchi sono sempre in corso. Servirebbero poi settimane se non mesi, in base all'opzione militare scelta dalla Casa Bianca, per assemblare una forza d'attacco. La forza aerea, terrestre e navale di superficie degli Stati Uniti sarebbe monitorata on line lasciando ben poco spazio all'effetto sorpresa. Ciò darebbe all'Iran il tempo necessario per prepararsi alla guerra, alla comunità internazionale di prendere posizione ed agli alleati di Teheran di decidere il da farsi. Ovviamente non consideriamo la posizione della Russia. E mentre Trump ordinerebbe alle truppe di mettersi in posizione, l'Occidente potrebbe essere teatro di attacchi asimmetrici.

Raid Aereo

Era la strategia d’attacco ipotizzata dal Presidente Barack Obama per impedire che Teheran sviluppasse asset nucleari. In caso di attacco preventivo gli Stati Uniti utilizzerebbero i principali asset a bassa osservabilità di quinta generazione ed i missili da crociera lanciati dai sottomarini e dalla unità di superficie. Dobbiamo infatti considerare la griglia S-300 di Teheran che annullerebbe l'impiego di tutte le piattaforme di quarta generazione almeno nella prima fase. Nessun paese può eguagliare gli Stati Uniti nella proiezione di potenza. Se Washington decidesse di effettuare un attacco militare contro l’Iran, anche se limitato, l'impatto sarebbe devastante per il Paese che si affaccia sul Golfo Persico. Tuttavia, quando si considera l'azione militare, è importante riconoscere le variabili e le lacune di intelligence che complicano inevitabilmente il processo decisionale politico e militare. Il vantaggio degli Stati Uniti nella formazione, coordinamento e nelle attrezzature, non garantirebbe il successo della missione a causa delle lacune di intelligence. Sarebbe impossibile, infatti, riuscire a distruggere l’intera infrastruttura nucleare del paese ed evitare un attacco di rappresaglia contro le basi statunitensi in Medio Oriente ed Israele. Un attacco preventivo convenzionale contro l’Iran ridurrebbe certamente le capacità militare del paese, ma non azzererebbe le sue capacità nucleari che potrebbero essere ricostruite celermente. Gli Stati Uniti ignorano l’esatta ubicazione di tutte le infrastrutture sensibili connesse con il programma nucleare iraniano, molte delle quali trasferite all’interno di strutture corazzate in profondità nel terreno. Il Pentagono non ha contezza della reale ramificazione del programma nucleare dell’Iran. Le piattaforme statunitensi di quinta generazione spazzerebbero con facilità i MiG-29 dell’Iran, imponendo fin da subito il dominio aereo. Tuttavia predire il successo di un attacco aereo degli Stati Uniti, nonostante le forze in campo, resta difficile e dipenderà dal grado di affidabilità e certezza delle informazioni d’intelligence. Per concludere. Gli Stati Uniti possono essere ragionevolmente certi di arrestare un duro colpo all'infrastruttura nucleare nella prima ondata. Realisticamente, non considerando l'opzione nucleare o l'invasione terrestre, gli Stati Uniti non potranno sperare di azzerare il programma nucleare dell’Iran.

Il raid aereo statunitense, infine, non azzererebbe le capacità delle Forza Aerospaziale del Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica. Teheran avrebbe realizzato in tutto il paese 14 basi sotterranee, molte delle quali all'interno delle catene montuose del territorio iraniano, armate con missili balistici Qadr, Emad e Shahab pronti al lancio.

L’invasione terrestre dall’Afghanistan

L’opzione preferita dal Presidente George W. Bush

Nessun analista sano di mente suggerirebbe un’invasione terrestre dell’Iran. Come osserva Stratfor, “la Repubblica Islamica è il 17 ° paese più grande del mondo. Misura 1.684.000 chilometri quadrati. Ciò significa che è più grande dei territori di Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio, Spagna e Portogallo messi assieme”.

“L'Iran è una fortezza. Circondato su tre lati da montagne e sul quarto dall'oceano con una terra desolata al centro: è estremamente difficile da conquistare. Quasi tutte le principali città si trovano nel nord del paese”.

Una forza d’attacco proveniente dall’Afghanistan occidentale richiederebbe mesi per essere assemblata, considerando che sarebbero necessari non meno di 300 mila soldati sul terreno. L’Iran non è certamente l’Iraq del 2003.

“Passare dal confine afghano alla maggior parte delle principali città iraniane richiederebbe la traversata di due grandi regioni desertiche: Dasht-e Lut e Dasht-e Kavir. Dasht-e Kavir è particolarmente temibile per la conformazione del suo terreno simile alle sabbie mobili. Il Dasht-e Kavir consiste in uno strato di sale che copre del fango denso. Ciò limiterebbe enormemente la fanteria meccanizzata e motorizzata statunitense”.

I potentissimi carri armati M1A2 SEP Abrams non temono certamente i sistemi pesanti Karrar o Tiam, ma l’attraversata delle due grandi regioni desertiche dell'Iran. L'Iraq è un paese molto più piccolo dell'Iran: il suo terreno si è rivelato essere molto più adatto per le forze corazzate statunitensi.

L’invasione terrestre dalla Turchia

L’alleato della Nato ha già vietato agli Stati Uniti di utilizzare il suo territorio come base di proiezione per un’invasione terrestre dell’Iraq. E l’alleato della Nato non lo concederebbe certamente oggi per invadere l’Iran. Ed in ogni caso non sarebbe un regalo: le montagne Zagros che definiscono i confini dell'Iran con la Turchia e la maggior parte dell'Iraq sono un incubo per qualsiasi forza di invasione.

Come rilevato nello studio The Revenge of Geography di Robert Kaplan “i confini occidentali si trovano nell'estremo sud, dove il Tigri e l’Eufrate si incontrano per formare il fiume Shatt al-Arab. Questa era la via di invasione utilizzata da Saddam Hussein negli anni '80. Sfortunatamente, come ha scoperto Saddam, questo è un territorio paludoso e facile da difendere. Inoltre, non molto tempo dopo aver attraversato il territorio iraniano, qualsiasi forza di invasione si sarebbe imbattuta nei Monti Zagros". Teheran ha investito miliardi di dollari per trasformare i Monti Zagros in un’ecatombe per qualsiasi forza di invasione.

Operazioni segrete

Reparti speciali Usa e di Israele dietro supervisione CIA si infiltrerebbero in Iran per sabotare le strutture chiave e la rete viaria primaria per bloccare il movimento dei lanciatori. Tuttavia quando si considerano azione del genere è importante riconoscere le variabili e le lacune di intelligence che complicano inevitabilmente il processo decisionale politico e militare. Gli Stati Uniti ignorano l’esatta ubicazione dei lanciatori, la maggior parte dei quali nascosti in bunker corazzati a profondità ignote e la reale ramificazione del programma nucleare dell'Iran. La distruzione delle infrastrutture militari e nucleari note non sarebbero sufficienti per annullare la ritorsione di Teheran. Senza considerare, infine, che la cattura di uno o più operatori dei reparti speciali Usa provocherebbe inimmaginabili conseguenze psicologiche in patria. Quello avvenuto il 12 gennaio del 2016 dovrebbe far riflettere.

Invasione anfibia

La Difesa del Mosaico

Negli ultimi 25 anni il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica ha ottimizzato costantemente il piano denominato Difesa del Mosaico. Si tratta di una campagna convenzionale, insurrezionale e di guerriglia su linee difensive fisse e mobili concepita per colpire, degradare e logorare le capacità di una forza di invasione (in profondità e nelle retrovie) che cerca di raggiungere le città del nord dell'Iran dalle sue coste. La strategia si ispira chiaramente a quella adottata da Žukov per la battaglia di Kursk. L'Artesh, un mix di unità corazzate e di fanteria costituirebbe la prima linea di difesa dell'Iran contro le forze invasori. La Difesa del Mosaico attiverebbe le missioni della Forza Quds all'estero, così da minacciare gli interessi degli Stati Uniti in altri teatri.

La valle della Morte

La Marina Militare degli Stati Uniti non ha eguali nel mondo, tuttavia se decidesse di attaccare l’Iran dalla sua costa meridionale, la forza di invasione subirebbe ingenti perdite. Il riferimento storico di Balaklava è opportuno. Il punto è che gli Stati Uniti attaccherebbero nell’area dove l’Iran si aspetta da decenni un’invasione. Si tratterebbe della zona più protetta (Tirannia della Distanza su capacità A2/AD) e meglio difesa della Repubblica Islamica senza dimenticare che la geografia è un elemento chiave nella strategia navale iraniana.

Lo spazio limitato del Golfo, che è largo meno di 100 miglia nautiche in molti aree, limita la manovrabilità dei vettori statunitensi a vantaggio delle forze navali iraniane (eccellente al riguardo lo studio del (Center for Strategic and Budgetary Assessments). La Guardia Rivoluzionaria possiede circa mille piccole e veloci imbarcazioni utilizzate per pattugliare la costa iraniana. Il loro impiego è determinante nella tattica asimmetrica a sciame, perfezionata dalla fine del 1988 dalla Guardia Rivoluzionaria per interdire l’ingresso nel Golfo Persico. A questo bisogna associare la strategia A2/AD ottimizzata negli anni dall’Iran e che prevede un mix di missili, droni, sottomarini e mine. L'Iran non ha concepito la sua difesa per vincere una guerra contro gli Stati Uniti, ma per degradare risorse, uomini, mezzi, sostegno pubblico e politico per un conflitto a tempo indeterminato.

La capacità ASMC dell'Iran

L’implementazione della capacità ASMC, Anti-Ship Cruise Missile, è ritenuta plausibile nei sottomarini diesel elettrici classe Besat da 1200 tonnellate. Tuttavia l'unico test noto risale al due maggio del 2017, quando proprio un sottomarino classe Ghadir effettuò un test di espulsione di base, procedura necessaria per consentire alla piattaforma in immersione di lanciare un missile in sicurezza. Secondo il Pentagono il test sarebbe fallito. Lo sviluppo di un missile da crociera antinave è una naturale evoluzione della strategia di negazione ed, in teoria, consentirebbe alla Marina iraniana maggiore flessibilità operativa ed immediati tempi di reazione. Lo sviluppo di un missile da crociera antinave è una naturale evoluzione della strategia di negazione ed, in teoria, consentirebbe alla Marina iraniana maggiore flessibilità operativa ed immediati tempi di reazione. Medesime preoccupazioni nel Pacifico, con il sistema d’arma cinese YJ-18.

Iran: La strategia della negazione concentrica

Le mutevoli alleanze internazionali: L'impulso all'autosufficienza

I sottomarini sono parte integrante della strategia di difesa a più livelli dell’Iran. In uno ipotetico conflitto, i sottomarini iraniani opererebbero come moltiplicatori di forze in anelli concentrici tra l’Oceano Indiano, il Mar Rosso e lo Stretto di Hormuz. La ridondanza iraniana di proiezione si basa su due sottomarini Kilo sempre in navigazione. Tuttavia, a causa della minima profondità operativa richiesta, almeno 164 piedi, possono accedere solo ad un terzo del Golfo Persico. L’Iran starebbe quindi sviluppando dei sottomarini diesel-elettrici destinati a colmare il divario tra la classe pesante Kilo da quattromila tonnellate e quella leggera Ghadir. La classe Qaa’em, unità da mille tonnellate presentata nel settembre del 2008, rimane un mistero. Probabilmente, il progetto è stato inglobato nella classe Besat da 1200 tonnellate. I sei tubi lanciasiluri di quest’ultima dovrebbero essere in grado di lanciare diversi sistemi d’arma, compresi i missili da crociera. Una predisposizione, per intenderci, già implementata nei sottomarini tedeschi Tipo 209 destinati all’esportazione. La forza sottomarina è parte integrante della strategia di difesa a più livelli dell’Iran basata sulla capacità di collocare mine EM-52 ed asset UWIED, Underwater Improvised Explosive Devices in un contesto A2/AD.

La difesa costiera

La Guardia Rivoluzionaria possiede circa mille piccole e veloci imbarcazioni utilizzate per pattugliare la costa iraniana. Il loro impiego è determinante nella tattica asimmetrica a sciame, perfezionata dalla fine del 1988 dalla Guardia Rivoluzionaria per interdire l’ingresso nel Golfo Persico. L’Iran ha investito ingenti risorse nella ricerca e produzione di sistemi missilistici antinave terrestri per la difesa costiera. Lo Stretto di Hormuz e la lunghezza delle coste, offrono un anello di difesa ottimale per i missili da crociera. Operativi diversi sistemi basati sul C-802 cinese derivato dall’Exocet francese, mentre sembrerebbe non ancora sviluppata la versione del missile SS-N-26 Yakhont. Entrambi coprono l’intera larghezza del Golfo Persico. In caso di conflitto l’Iran (la strategia è in stile hit-and-run), colpirebbe le navi da guerra nemiche presenti nel Golfo Persico e nello Stretto di Hormuz. L’attacco di saturazione contro queste forze, avrebbe l’obiettivo di minare la volontà politica nel perseguire una guerra contro l’Iran.

Invadere l'Iran: Raggiungere la costa sarebbe solo l'inizio

Conquistare un paese è la parte facile

Le capacità militari della US Navy sono tali che pur subendo gravi perdite nel Golfo riuscirebbero a stabilire la testa di ponte per l'invasione. Il problema si porrebbe subito dopo poichè bisognerebbe conquistare il resto dell'Iran. Conquistare un paese è la parte facile. E' l'occupazione la parte difficile e costosa così come hanno appreso gli Stati Uniti in Iraq e Afghanistan. Saddam fu cacciato in poche settimane, ma in Iraq si continua a combattere ancora oggi. Un'invasione dell'Iran sarebbe molto più impegnativa e sanguinaria della guerra in Iraq.

Gli attacchi informatici: attivare Nitro Zeus

Gli attacchi informatici (come quelli della tecnologia left of launch) sono efficaci se indirizzati contro obiettivi identificati. Il worm Stuxnet ha già dimostrato la sua efficacia in Iran contro bersagli simmetricamente ideali, ma gli obiettivi sono molteplici e schierati su lanciatori mobili. In un approccio dove il tempismo è fondamentale, gli hacker del Pentagono dovrebbero manipolare in remoto i sistemi missilistici provocando il fallimento dei lanci. In un contesto operativo, anche se tutti gli attacchi informatici riuscissero a disabilitare i missili schierati in posizione di lancio, sarebbe impossibile hackerare i sistemi nascosti nei bunker sotterranei del paese. Ecco perché alla tecnologia missilistica di proiezione è associata la miniaturizzazione delle testate termonucleari. Tuttavia l’attacco informatico ha una particolare caratteristica: quella di essere difficilmente identificabile. L'identità dell'operatore e del paese sponsor resta sempre sconosciuta, sebbene esistano i sospetti che però non forniscono il casus belli. Qualsiasi attacco effettuato nel dominio cyber è considerato un atto di guerra. Gli Stati Uniti non possono affermare di sabotare la rete missilistica dell'Iran poiché ciò scatenerebbe reazioni imprevedibili. La deterrenza dipenderà sempre da un certo grado di indeterminatezza e di incertezza. Qualora una nazione si convincesse di essere sotto attacco hacker diretto volto a disabilitare gli asset militari, potrebbe essere tentata dal lanciare un attacco preventivo.

Nitro Zeus 2.0

Il piano Nitro Zeus è un imponente attacco hacker progettato dal Cyber ​​Command per disabilitare le difese aeree di Teheran, i sistemi di comunicazione e le principali infrastrutture elettriche del Paese. Nitro Zeus è stato sviluppato dietro specifica richiesta dell'ex Presidente Barack Obama per “un piano militare dettagliato qualora la diplomazia fallisse”. Costato decine di milioni di dollari è stato strutturato per “spegnere” l’Iran prima di un massiccio attacco degli Stati Uniti che avrebbe dovuto azzerare ogni capacità militare di rappresaglia di Teheran.

Il Pentagono sviluppa costantemente piani di emergenza, ma quello contro l’Iran ha ricevuto priorità assoluta per un principale scopo: Israele. La Casa Bianca, infatti, temeva che il primo ministro Benjamin Netanyahu avesse deciso di colpire preventivamente gli impianti nucleari iraniani. Se avessero attaccato, gli Stati Uniti sarebbero stati coinvolti inevitabilmente nelle ostilità. Oltre a Nitro Zeus i servizi segreti Usa hanno sviluppato un altro tipo di attacco informatico, specificatamente progettato per disabilitare il sito nucleare di Fordo, che l'Iran ha costruito dentro una montagna, vicino la città di Qom. L’operazione contro l’impianto di Fordo, scoperto nel 2009 e gestito dal Corpo delle Guardie Rivoluzionarie, era considerata segreta: Obama avrebbe potuto autorizzarla anche se non fosse scoppiata una guerra (le nuove direttive conferiscono al solo Presidente degli Stati Uniti il potere di ordinare un attacco cibernetico offensivo, così come avviene per l’utilizzo di armi nucleari). Il sito di Fordo è sempre stato in cima alla lista degli obiettivi del Pentagono: è considerato anche l’impianto più protetto dell’Iran. Il worm (diffuso fisicamente tramite agenti israeliani infiltrati o in remoto) scritto dagli hacker del Pentagono avrebbe attaccato i software delle centrifughe iraniane, distruggendone le capacità di alimentazione. E’ ritenuto l’ultimo codice dell’Operazione “Giochi Olimpici”, creata da Bush nel 2006.

La distruzione delle principali infrastrutture dell'Iran non sarà sufficiente per annullare la ritorsione. Pertanto, anche se gli Stati Uniti possono essere ragionevolmente certi di arrestare un duro colpo alle capacità militari del Paese nella prima ondata, sarebbe necessario un grado di cognizione assoluta per annullare ogni tipo di ritorsione.

La postura frenemies

Escludendo l’opzione nucleare ed una inimmaginabile invasione terrestre, ogni tipo di azione militare fisica o virtuale innescherebbe una violenta rappresaglia contro le basi statunitensi in Medio Oriente ed Israele. Anche un attacco convenzionale limitato e non in grado di decapitare la linea di comando dell'Iran, scatenerebbe la ritorsione. Teheran non è Damasco. Con una certezza quasi assoluta ogni forma di conflitto convenzionale tra Iran e Stati Uniti si tramuterebbe in termonucleare in brevissimo tempo.

La migliore soluzione possibile sarebbe che entrambe le parti adottassero un approccio pragmatico per allineare i loro interessi in aree con obiettivi condivisi, accettando di non essere d'accordo: la postura frenemies.

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