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Le Presidenziali francesi e l'estinzione dei socialisti europei

La batosta subìta dai socialisti francesi è solo l'ultima di una lunga serie di sconfitte che, dalla Grecia alla Spagna, hanno segnato la crisi del socialismo in Europa

Le Presidenziali francesi e l'estinzione dei socialisti europei

“Macron ha fermato i populismi”. “La Le Pen non sfonda”. Sono queste le frasi trionfalistiche della sinistra nostrana, tese a nascondere la sconfitta più terribile dei socialisti francesi. Il misero 6,3% ottenuto dal candidato Benoît Hamon, figlio della percentuale più bassa di popolarità del presidente uscente, Francois Holland (4%), è soltanto l’ultimo tracollo dei socialisti europei, e non solo.

In Italia, come sappiamo, il Pd è ancora scosso dalla bruciante sconfitta al referendum del 4 dicembre che ha portato alle dimissioni di Matteo Renzi e governa grazie ai voti di Alfano e Verdini. In Germania e in Spagna i socialisti sono in maggioranza ma hanno dovuto cedere la carica di primo ministro ai popolari, rispettivamente dal 2005 e dal 2011. Ora, con la nuova leadership di Martin Schulz, la Spd sembra in ripresa ma, pare difficile, che possa strappare il cancellierato ad Angela Merkel, mentre nel Paese iberico la stella di Pedro Sanchez si è spenta più rapidamente di quella di Renzi, a causa soprattutto dell’avanzata di Podemos.

Nel Regno Unito, i laburisti, orfani di Tony Blair, sono all’opposizione dal 2010 e, i recenti sondaggi, gli danno indietro di oltre 20% rispetto ai conservatori del premier Theresa May che ha indetto elezioni anticipate per avere una maggioranza stabile capace di portare a compimento la Brexit. Oltre Oceano brucia ancora la sconfitta che Donald Trump ha inflitto all’ex segretario di Stato e candidata dei democratici, Hillary Clinton che ha perso nel conteggio dei delegati pur avendo ottenuto 2 milioni di voti in più rispetto al neopresidente.

Tornando in Europa, solo in Portogallo i socialisti sono riusciti a salire al governo, alleandosi con la sinistra radicale, nonostante i conservatori fossero arrivati primi alle elezioni politiche del 2015. Fatta eccezione per il Portogallo e l’Italia, nel resto d’Europa, i socialisti o, come abbiamo visto, fanno parte di un governo di coalizione o stanno all’opposizione. In Austria guidano un governo di coalizione ma, il 24 aprile scorso, sono stati esclusi, per la prima volta, dal secondo turno per le Presidenziali ottenendo un misero 11%. Il 4 dicembre scorso a vincere, dopo un primo annullamento del ballottaggio, è stato Alexander Van der Bellen, l’indipendente sostenuto dai Verdi che ha battuto il nazionalista Norbert Hofer. Anche nelle recenti elezioni olandesi i socialisti hanno avuto un tracollo dovuto all’avanzata dei Verdi di Jesse Klaver, padre marocchino e madre di origini olandesi-indonesiane. Qui, il popolare Mark Rutte, il 15 marzo scorso, ha battuto l’ultranazionalista Geert Wilders conservando la carica di primo ministro che detiene dal 2010. Il Partito del Lavoro (Pvda) si è fermato al 5,7% perdendo più di 19 punti percentuali rispetto al 2012.

È messo male anche il Pasok che, alle ultime elezioni del 2015, ha preso il 6,3% ed è ridotto ad avere un ruolo marginale nel panorama politico della sinistra greca, dominata da Syriza e dal premier Alexis Tsipras. Guardando più ad Est, in Polonia, i socialisti non sono neppure presenti Parlamento e hanno recentemente perso le elezioni in Bulgaria, mentre l’Ungheria è governata dal 2010 da Viktor Orban.

In sintesi, i socialisti, da qualsiasi lato si guardi la cartina geografica del Vecchio Continente, non fanno altro che collezionare sconfitte, con buona pace della socialdemocrazia europea.

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