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La regina regala a Trump le memorie di guerra di Churchill

Elisabetta ha donato a Trump una prima edizione delle memorie di Churchill, personalità a cui Trump si sarebbe ispirato sebbene siano ben pochi i tratti che li accomunano

La regina regala a Trump le memorie di guerra di Churchill

La Regina Elisabetta ha regalato a Donald Trump - in questi giorni in visita ufficiale a Londra - una prima edizione del libro di Churchill "La seconda guerra mondiale". Il volume, stampato negli anni ‘50 e rilegato nei colori della bandiera americana in una sontuosa copertina color cremisi, riporta lo stemma reale in oro e contiene le memorie del primo ministro britannico raccolte nei suoi diari privati durante i momenti più bui del conflitto.

Questo dono dev'essere stato apprezzato fortemente dal tycoon, noto per essere un grande ammiratore di quello che viene considerato a buon titolo il più grande statista del secolo scorso.

Trump si sarebbe infatti ispirato, secondo quanto riportato in passato dal New York Times al carismatico primo ministro britannico durante la propria campagna elettorale: "voleva sembrare severo, e ha posto il veto su qualsiasi immagine della campagna che avesse a che fare con la debolezza" - confessarono i suoi collaboratori dopo la campagna elettorale. "Come Churchill", è ciò che il tycoon ripeteva spesso e volentieri ai membri dello staff quando gli veniva chiesto che immagine volesse dare di se al popolo americano. Sono pochi tuttavia i tratti che accomunano la storia, le personalità e meriti di questi due "grandi" del mondo: fuorché le loro uscite pubbliche spesso infelici - quanto esilaranti - il cipiglio nelle fotografie di rito e l'ostentazione della "V" per vittoria con le dita. Simbolo che Churchill iniziò ad ostentare una volta scoperto che nei quartieri poveri di Londra voleva dire "vattene a quel paese".

Il giovane Churchill era infatti un avventuriero nato, rinnegato dal padre per la sua condotta disdicevole e non figlio di papà riformato cinque volte per partire per il Vietnam. Arruolato negli Ussari giovanissimo e partito per la guerra Anglo-boera come giornalista di guerra, piuttosto di poter indossare la sahariana e gli stivali da cavalleggero. Proprio in quell’occasione verrà fatto prigioniero e scapperà, dandosi alla macchia per un mese prima di tornare in Inghilterra e scrivere uno dei suoi primi libri di successo. A quell’età invece il giovane Trump più che altro esercitava il golf e costruiva casinò con i soldi del padre, e per vederlo mettere piede su un campo di battaglia ci sono voluti tre anni di presidenza. Primo lord dell'Ammiragliato durante la prima guerra mondiale, pittore talentuoso, premio Nobel per la letteratura nel 1953 data "la sua padronanza della descrizione storica e biografica e per la brillante oratoria in difesa i valori umani" - che lo vide spesso impegnato in prima persona nello scrivere i discorsi che nonostante fosse ispirati dai fumi dell'alcol avrebbero infuocato l'animo del popolo britannico - Sir Winston ha quindi ben poco da spartire con il magnate americano ormai settantenne, con il quale secondo lo storico Andrew Roberts (autore della biografia Churchill: Walking with Destiny) condividerebbe solo un linguaggio spesso schietto, dalla poche parole, dure quanto irriverenti, e una certa disinvoltura per lo sfruttamento metodico delle "fake news", che allora non si chiamavano così, ma potevano supportare in egual modo una linea politica ben definita e bisognosa del massimo dei consensi. Tra le altre principali differenze c'è la stima indiscussa per sua moglie, ritenuta una spalla importante e onnipresente nella vita del politico inglese; mentre Melania Trump, seppure ancora vicina al presidente americano, sembra non avere un ruolo importante nella vita di The Donald, che secondo le indiscrezione non era affatto contento di aver vinto le elezioni. E la maggiore differenza forse rimane proprio questa di fatto: l’essere uno un leader politico nato, e l'altro un leader politico per caso.

Del resto, come racconta Michael Moree, Trump è diventato presidente degli Stati Uniti per un fortuito caso del destino, una grottesca storia di provocazione televisive e assenza di alternative iniziata il giorno in cui il tycoon venne a conoscenza del fatto che la cantante dei "No Doubt" Gwne Stefani guadagnava con reality The Voice più di quanto lui aveva mai guadagnato con il suo programma The Apprentice, e culminata in quella notte del 2016 quando la pancia dello Stato più potente del mondo gridò: "Make America great again" nelle urne. Churchill invece, che l'ars politica l'aveva nei cromosomi, già alle elementari metteva in guardia i compagni: "Prima o poi questo Paese subirà una tremenda invasione. Quando accadrà sarà compito mio salvare l’Impero". E così fu. Passarono un paio di decenni, e quel bambino poco studioso, viziato e dalla salute cagionevole, in piedi come un leone prometteva alla Camera dei comuni nient'altro che "fatica, lacrime, sangue e sudore" a chi lo avrebbe seguito nel fronteggiare Hitler in quella guerra che si sarebbe combattuta "per terra, mare, aria", con quello che per lui era l'unico obiettivo plausibile: la vittoria.

Forse questo dono gradito aiuterà Trump a capire come si passa alla storia da veri statisti; e cosa può voler dire affrontare una guerra mondiale che lui fin troppo spesso ha rischiato di provocare.

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