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La triste uscita di scena di Obama

Si chiude la corsa di quello che il Washington Times definì "il peggior presidente della storia". Ma l'uscita di scena è peggiore dell'ingresso

La triste uscita di scena di Obama

Il 2 luglio 2014 il Washington Times pubblicava un pezzo di Joseph Curl dal titolo "Obama is the worst President ever" (Obama è il peggior presidente della storia), nel quale forniva una panoramica tutt'altro che positiva sull'inquilino della Casa Bianca.

Chissà se all'epoca era però prevedibile un’uscita di scena simile, che lascia trasparire uno scarso self control da parte del presidente, al punto tale da arrivare ad affermare che se ci fosse stato lui al posto di Hillary Clinton, avrebbe sicuramente battuto il presidente eletto, Donald Trump. Una dichiarazione che se da una parte suona come una gaffe nei confronti della candidata democratica, dall’altra fa emergere un ulteriore quesito: se Trump avesse vinto per "colpa" dei cattivi hacker russi, in che modo le cose sarebbero andate diversamente se Obama fosse stato il candidato al posto della Clinton? Insomma, la vittoria di Trump è colpa della Clinton o del Cremlino?

È difficile credere che degli hacker russi possano aver deciso l'esito delle elezioni presidenziali americane. Se così fosse, l'intelligence statunitense verrebbe seriamente ridicolizzata. Di fatto, nonostante Obama abbia preso "provvedimenti" contro esponenti diplomatici russi negli Stati Uniti, le accuse lanciate dalla amministrazione sono ancora prive di prove.

La vittoria della Clinton veniva data quasi per certa, ma così non è stato. Obama ora se la prende con il Cremlino, ma per quale ragione? Facile, perché Vladimir Putin si è guadagnato uno spazio sempre maggiore sullo scacchiere mediorientale: soffiandogli di fatto la Turchia, inserendosi in modo importante in Egitto, contrastando i jihadisti in Siria: Isis, Jabhat al- Nusra ma anche quelle fazioni "moderate" supportate da Washington ma che di moderato non hanno proprio nulla.

Il supporto dell’amministrazione Obama per l’islamismo politico è un dato di fatto che appare evidente fin dall’inizio delle Primavere Arabe. L'amministrazione americana aveva valutato con molto ottimismo le rivolte scoppiate a partire dal 2011 in Siria, Libia, Egitto, Tunisia (ma curiosamente non in Arabia Saudita) con l’obiettivo di abbattere i rispettivi regimi e sostituirli tramite una "transizione democratica" con nuovi esecutivi, magari legati all’ambito politico dei Fratelli Musulmani.

Del resto più fonti, anche istituzionali americane, parlano di contatti tra Cia, Dipartimento di Stato e Fratellanza Musulmana egiziana già a metà anni Novanta, durante la presidenza Clinton.

Con Obama però si hanno degli sviluppi senza precedenti e dei segnali più che evidenti già nel suo discorso all’Università Islamica al Azhar del Cairo nella primavera del 2009, al quale la sua Amministrazione invitò diversi alti membri dei Fratelli Musulmani, tra le prime file.

Un discorso che non passava certo inosservato, tanto che il direttore del Center for Security Policy di Washington, Frank Gaffney Jr., metteva subito in evidenza alcuni controversi aspetti: il fatto che un presidente degli Usa faccia riferimento per ben quattro volte al Corano in un discorso pubblico (fatto senza precedenti), l’impegno governativo per tutelare il diritto delle donne e delle giovani ragazze a indossare il velo e a punire coloro che vorrebbero impedirglielo.

Un punto che potrebbe facilmente passare inosservato ai non addetti ai lavori, ma messo egregiamente in evidenza da Gaffney, è però il momento in cui Obama ha detto: "Quando Gerusalemme sarà una Casa sicura e stabile per ebrei, cristiani e musulmani, ed un Posto in cui tutti i Figli di Abramo possano mescolarsi pacificamente come nella storia di Esra, quando Mosé, Gesù e Mohammed (Pace sia su di loro) si unirono in preghiera".

Gaffney illustra che il termine "Pace sia su di loro" si usa nell'islam per chiedere benedizioni per sant’uomini deceduti. In altre Parole, il suo uso mette tutti e tre sul livello in cui li mette l’Islam – quali Profeti morti – una visione totalmente in contrasto con gli insegnamenti della Cristianità che, naturalmente, ritengono Gesù quale immortale Figlio di Dio. A ognuno le sue valutazioni.

I fatti che seguiranno durante i turbolenti anni delle Primavere Arabe faranno il resto.

Nell’Egitto post-Mubarak l’amministrazione Obama appoggiava fino alla fine il governo dei Fratelli Musulmani guidato da Mohamed Morsy, andando contro la volontà del popolo egiziano, sceso nelle piazze per chiedere elezioni anticipate dopo un anno di “regime” islamista, nel 2013. Si arrivò al punto che l’ex ambasciatrice americana, Anne Patterson, fu pesantemente contestata dal popolo egiziano e costretta a lasciare in gran fretta il Cairo, per aver appoggiato fino all’ultimo Morsy, tutto documentato anche con immagini.

La Patterson veniva del resto immortalata a suo tempo assieme all’ex guida dei Fratelli Musulmani, Mohamed Badie e più avanti, durante un evento universitario negli Stati Uniti, mentre faceva il gesto delle quattro dita di Rabaa, simbolo della protesta pro Morsy, assieme a una sostenitrice della Fratellanza. Un gesto che vale più di mille parole.

Nel gennaio 2015, ben dopo la caduta di Morsy, il Dipartimento di Stato americano ospitava una delegazione di leader legati ai Fratelli Musulmani, forse per un incontro sulle eventuali misure di opposizione nei confronti del governo del Presidente Abdelfattah al Sisi?

Un membro della delegazione nonché membro dell’Egyptian Revolutionary Council, Walid al Sharaby, veniva immortalato mentre faceva il segno delle quattro dita di Rabaa davanti alla bandiera statunitense e al logo del Dipartimento di Stato. In delegazione erano inoltre presenti anche Gamal Heshmat, Abdel Mawgoud al-Dardery (due alti membri della Fratellanza) e Maha Azzam, presidente dell’Egyptian Council for Revolution, nato a Istanbul nel 2014 con l’obiettivo di contrastare il neo-presidente egiziano Abdelfattah al-Sisi. Esaminando il consiglio d’amministrazione dell’ECR è difficile non notare come il vice-presidente e addetto ai diritti umani ha lo stesso nome del personaggio immortalato con il segno delle quattro dita al Dipartimento di Stato, tale Walid al-Sharaby.

Vi fu poi il caso di Mohamed Elbiary, ex funzionario dello United States Homeland Security Department, poi costretto alle dimissioni in seguito ad alcuni suoi tweet in favore del Califfato, dei Fratelli Musulmani e contro i copti egiziani. Sotto l’Amministrazione Obama, Elibiary aveva anche fatto parte del DHS Countering Violent Extremism Working Group e del DHS Faith-Based Security and Communications Advisory Committee.

Sullo sfondo dell’account Twitter di Elbiary appariva ben visibile l’immagine di una terrorista di Hamas mentre brandisce un fucile e un Corano e a fianco quella di una ragazza Americana vicino alla bandiera statunitense, con fucile e Bibbia in mano. Chissà cosa intendeva dire Elbiary con tale immagine?

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