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Morto Marc Augé, l'inventore dei "non luoghi"

Marc Augé è scomparso ieri all'età di 87 anni

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Marc Augé è scomparso ieri all'età di 87 anni. Antropologo e filosofo, ha diretto la prestigiosa École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, di cui è stato anche Presidente, l'Istituto francese di Ricerche per lo sviluppo e, dal 2012, era membro del comitato d'onore dell'Associazione «Fare arte nel nostro tempo».

Nato a Poiters nel 1935, era un infaticabile giramondo. Aveva svolto ricerche etnografiche in Africa soprattutto in Costa d'Avorio e in Togo - e nell'America latina ma, nella seconda fase della sua vita, aveva focalizzato gli studi sulla questione della modernità e sulla «mobilità» umana. Al fondo dei suoi interessi, la correlazione tra una solitudine diventata sempre più patologica e la ricerca anonima e quasi morbosa dell'evasione.

Un etnologo nel metrò (1986), racconto della metropolitana parigina e dei suoi «indigeni», entrambi innalzati a materia privilegiata di un'indagine e Il bello della bicicletta (2008), in cui anatomizza il «nuovo umanesimo dei ciclisti», attività riportata su un piano quasi leggendario, sono solo alcuni dei libri che, trovando un largo successo di pubblico, anticipano Non-luoghi (1992), lo scritto che gli dà la notorietà internazionale grazie a una serie di intuizioni (a partire dal titolo) sia lessicali che interpretative che diventeranno in breve tempo parte del frasario comune. Autostrade, stazioni, aeroporti, supermercati e catene alberghiere diventano i «non luoghi». Spazi dell'eterogeneità organizzata e dell'anonimato, assimilabili ad una sorta di parcheggi neomoderni, asettici e razionali al massimo grado, dove si accede fornendo prova della propria identità e adattandosi a generali e impersonali codici linguistici e di comportamento; tuttavia, con la peculiarità di essere appunto - fintamente identitari e frequentati da individui simili nei sogni e nei bisogni.

I «non luoghi» segnano l'entrata nella «surmodernità», in un tempo stipato fin all'inverosimile da avvenimenti che si sovrappongono l'uno all'altro e pronti a perdersi nell'eterno presente senza memoria, e in uno spazio infinito, ampio quanto tutto il pianeta ma definito da gigantesche concentrazioni urbane. «Surmodernità» che si tiene grazie ad un livello travolgente di cambiamenti prodotti dalla globalizzazione e dalla spirale accelerativa della comunicazione, «bene di consumo per eccellenza che, paradossalmente, non smette di individualizzarsi».

La tesi di Augé è chiara: siamo dentro un circolo vizioso, che ci è familiare e manifesto da cui, però, facciamo fatica a tirarci fuori perché «l'uomo è un animale simbiotico, che ha bisogno di relazioni inscritte nello spazio e nel tempo, di luoghi in cui la sua identità individuale si costruisca col contatto e grazie al riconoscimento degli altri».

E il «non luogo», pur essendo uno spazio estraniante che ristagna all'estremo opposto del «luogo antropologico», riesce a fabbricare senza sosta simulacri di comunità.

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