Cronaca locale

Falsi incidenti stradali per ottenere risarcimenti milionari

Eseguite 10 misure cautelari dalla Polizia stradale di Roma per associazione per delinquere finalizzata alla truffa alle assicurazione

Falsi incidenti stradali per ottenere risarcimenti milionari

Tutto era pianificato nei minimi dettagli al fine di ottenere risarcimenti per incidenti fasulli. A capo dell’organizzazione c’era un avvocato. I sinistri venivano costruiti ad arte. Per renderli quanto più reali possibili c’era chi veniva coinvolto per recitare il ruolo di vittima dell’incidente, chi faceva da testimone. Un meccanismo scoperto in questi ultimi due anni in un’indagine a cui ha lavorato la polizia stradale di Roma, coordinata dalla procura della Repubblica (dal procuratore aggiunto Roberto Cucchiari e dal sostituto procuratore Pierluigi Cipolla).

Gli agenti, coadiuvati sul territorio napoletano dalla polizia stradale di Napoli, hanno eseguito 10 misure di custodia cautelare per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla truffa alle assicurazioni e connessi reati contro la fede pubblica e la pubblica amministrazione. Denunce in stato di libertà sono poi scattate nei confronti di altre 14 persone denunciate.

Troppi i risarcimenti che le assicurazioni erano costrette a versare. E per incidenti dalle dinamiche troppo simili. Per questo era nato qualche sospetto, che aveva portato compagnie assicurative e Fondo di garanzie per le vittime della strada a sporgere denuncia. Sono iniziate così le indagini, sviluppate inizialmente dalla Procura della Repubblica di Napoli e successivamente la Procura della Repubblica capitolina, alla quale il fascicolo è stato trasferito per competenza, in quanto coinvolto un giudice di pace del mandamento di Sant’Anastasia, comune situato in provincia di Napoli.

Le attività investigative hanno fatto luce su quello che per gli inquirenti era un vero e proprio “sistema” che fabbricava incidenti stradali finti per ottenere ingenti profitti, una vera e propria organizzazione a delinquere specializzata, ramificata nel territorio campano, che agiva in modo seriale e che, solo nel corso dei due anni di attività investigativa, è stata in grado di garantire oltre un milione e mezzo di euro all'associazione criminale messa in piedi.

I sinistri stradali, mai avvenuti, venivano opportunamente rappresentati come “incidenti con fuga” e l’immaginario responsabile risultava sempre irreperibile. Un modo questo per potersi garantire più agevolmente l’ingiusto profitto.

Le procedure adottate dall’organizzazione erano consolidate e ben strutturate. C’era l’avvocato che “costruiva” il sinistro, c’era chi si fingeva vittima, chi testimone, poi il medico compiacente che doveva refertare i traumi inesistenti e, per finire, giudice di pace e cancelliere che assicuravano il risarcimento nella fase finale dalla procedura. Le indagini, eseguite anche con intercettazioni, hanno consentito di individuare i vari livelli di responsabilità. Agli investigatori il sistema è apparso quasi come una rappresentazione teatrale, dove ogni attore aveva un preciso ruolo ed un copione da recitare.

Il protagonista principale era un esperto avvocato del Foro di Avellino che, insieme ad alcuni colleghi, si adoperava per “inventarsi” l’ennesimo incidente. Era lui che si occupava di costruire la dinamica dell’incidente ed il fascicolo del sinistro, curando i dettagli in ogni singola fase. La strutturazione della sceneggiatura dell’incidente prevedeva di ingaggiare, dietro compenso, persone che fingevano di essere vittime di incidenti stradali e che doveva interpretare il ruolo dei testimoni, rendendo quindi falsa testimonianza sulla dinamica del sinistro.

La finta vittima, dopo aver conferito il mandato all’avvocato, veniva contattata da altri membri dell’organizzazione per essere accompagnata presso strutture sanitarie pubbliche, dove c’era un medico compiacente che redigeva certificati attestanti i traumi post incidente, traumi in realtà inesistenti.

In molti i casi gli incidenti stradali venivano inventati sulla base di radiografie e documentazione sanitaria di pazienti ignari, acquisite illecitamente da strutture sanitarie e illegalmente possedute dall’organizzazione, immagini che attestavano lesioni che si presentavano compatibili alle circostanze di un sinistro e dalle quali scaturiva la diagnosi del primo soccorso.

L’avvocato, poi, inoltrava la richiesta risarcitoria al Fondo di garanzia per le Vittime della strada, restando poi in attesa di ricevere una congrua proposta economica di indennizzo. Per taluni sinistri il Fondo erogava direttamente il risarcimento, per altri era necessario richiedere l’intervento del Giudice di Pace compiacente. Ed è in questa fase che entravano in gioco il giudice di pace compiacente e il cancelliere. Grazie al loro contributo, ogni mese si riuscivano a ottenere decine di iscrizioni a ruolo di falsi sinistri stradali e l’emissione certa di sentenze favorevoli.

La figura del cancelliere era strategica nel sodalizio criminale in quanto, nella fase di iscrizione a ruolo, “pilotava” il fascicolo del finto sinistro e faceva in modo che venisse assegnato al giudice di pace compiacente. Il dispositivo delle sentenze, in questo modo, non poteva che essere favorevole e blindato.

Tutti i componenti dell’organizzazione erano retribuiti secondo il livello funzionale e la tipologia di prestazione svolta e il valore del compenso era sempre proporzionale al valore del risarcimento ottenuto. Le indagini – sulla base di quanto rivela la polizia stradale - si sono rivelate complesse per le peculiarità organizzative dei sodali e per il livello di penetrazione nel tessuto sociale del contesto in cui operavano.

L’associazione, inoltre, si avvaleva di standard di sicurezza, tecnologici e organizzativi particolarmente performanti, attraverso l’utilizzo di telecamere a circuito chiuso per il controllo degli ambienti e la disponibilità di numerose schede telefoniche per la gestione dei contatti.

L’aspetto più interessante riguarda l'organizzazione della rete criminale. Per garantire l'anonimato dei vertici del gruppo criminale, le modalità di interazioni tra i sodali erano rigide e vincolate: per evitare contatti diretti tra i capi e i complici occasionali, venivano impiegati degli intermediari per gli scambi di informazione o la pattuizione dei compensi. Ci si avvaleva di sodali che svolgevano mansioni di livello inferiore. Talvolta, nelle conversazioni venivano utilizzate anche metafore e allusioni. Insomma, erano state adottate tutte le cautele possibili. Ma non sono bastate.

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